Luca D. Majer
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STEVE REICH E IL SUO FOSGENE SONORO

 

"Chiaramente "2x5" non è rock'n'roll ma usa gli stessi strumenti. (...) "2x5" prende un gruppo rock, lo raddoppia e poi gli fa suonare qualcosa molto ritmico che loro sanno evidentemente suonare, ma non hanno mai suonato prima"

Steve Reich

 

 

Registrato tra aprile 2009 e febbraio 2010, "Double Sextet - 2x5" è miele ritmico per palati fini. Una salsa acustico-elettrica che saluta la fine del prima decade del terzo millennio ed abbraccia l'inizio degli "anni dieci".

Le tre composizioni del doppio sestetto hanno valso a Reich il premio Pulitzer 2009 per la musica, dato a questa registrazione in quanto

"lavoro importante che dimostra l'abilità di incanalare l'iniziale impeto di energia in un evento musicale di grande respiro, costruito con controllo magistrale e che stuzzica consistentemente l'orecchio".

Stupisce, come nota Reich nelle note di copertina, che il premio non fosse già arrivato con "Drumming" (1970/1971), o aggiungo io anche "Four Organs" (1970) o "Clapping Music" (1972), cioè quarant'anni prima. Ma ancora di più stupisce - in fondo - quanto le sei composizioni (non solo le tre prescelte dal premio) siano imperfettibili, composte da un settantaquatrenne dalle idee chiare e rare.

Due sestetti contrapposti, sgranati in tre composizioni dai titoli che non chiedono se non poche, sbrigative indicazioni: Fast - Slow - Fast. E simmetricamente tre pezzi per doppio quintetto (2x5), qui con il famoso Bang On A Can (2 chitarre elettriche, basso elettrico e batteria) raddoppiato in sala di registrazione e separato nei due canali stereo per una rara esperienza aurale.

Non è forse un caso che a Reich arrivi l'attenzione dell'establishment proprio in questo mutamento di decennio. Lui che - insieme al suo doppelgaenger Philip Glass -  dagli anni Settanta erano stati gli elementi più creativi della musica statunitense (se eccettuiamo il Miles Agonistes di On The Corner o Pangaea - ça va sans dire), eppure trattati con una sorta di distante accondiscendenza.

"2x5" rende estatici per i suoi timbri rock che ci potrebbero parlare con accordi slabbrati e ritmiche imprecise ed invece trasmettono perfezione, comando, frammentazione ritmica assoluta. E gioia di vivere e una metricità poetica da catena di montaggio del terziario avanzato. Due piani e due bassi come ossatura ritmica, e gli armonici delle chitarre (trattate e sublimi, quasi a suonare come zyther) diventano gli auguri di questi strani tempi dispari, ma anche di questo mondo dove molti sono in crisi e altri sommamente ricchi. E dove non ci sono vie di mezzo e tutto è veloce (Fast) o lento (Slow).    

"Double Sextet - 2x5" sembra commentare deliziosamente quelli che in molti definiscono il crepuscolo dell'Impero americano. Difficile dire quanto siano nel giusto queste Cassandre, certo che nella musica di Reich sentiamo la potenza della macchina americana che crea ricchezze inimmaginabili e crediti che possono comprarsi intere nazioni. E debiti, e povertà - ed il tutto con una precisione ariosa. 

Lo stridio di fondo di questo sistema che mercifica ogni cosa e ci rende asimmetrici partecipanti della legge degli opposti (per cui dopo ogni perdita dobbiamo attenderci, magari altrove, un guadagno) appare ancor più in evidenza nelle tre composizioni per doppio sestetto. Un line-up più tradizionalmente classico (flauto, clarinetto, violino, violoncello, vibrafono, piano in ognuno dei canali stereo) che naviga in un oceano matematico di dissonanze che si ricompongono, contrappunti ritmici perfetti e soluzioni armoniche. Un'opera che indica come i colori della copertina interna - esattamente quelli della bandiera americana - non siano scelti a caso.

E' la copertina esterna a limitarsi: elencando i numeri da uno a zero, ne scandisce anche il loro potere sommo - come dire: dentro di loro c'è tutto.

Così prendete con entusiasmo gli ultimi novanta meravigliosi secondi della prima parte "veloce" del Doppio Sestetto: questa è l'America del 2011. Se la Park Avenue frenetica ritratta da "Koyanisqaatsi" (in lingua hopi: "società in disintegrazione") era stata mirabilmente commentata nel 1982 dal minimalismo di Philip Glass in una grandiosa colonna sonora dell'America liberista pre-9/11, "Double Sextet - 2x5" è la grandiosa, ultimativa colonna sonora di chi intellettualmente afferma "Si, noi possiamo".

Già: non tutti, ma sì, yes, we can.

 

© LDM - 11 - 1 - 11