Sulle vendite di pacchetti di canzoni e il futuro della musica.
Bowie e Franz Lehar.
Rileggevo un recente articolo sulla vendita da parte degli eredi di David Bowie del portafoglio di 26 albi (più i postumi) per “oltre 250M di $” del “magro duca bianco.”
Già scrissi sul “vecchio bacucco” Bob Dylan e relativa vendita dell’intero catalogo ed ecco che sono arrivati pure Neil Young e Bowie. Certo, sono tutti anzianotti e chi non è già morto… è naturale che voglia assicurare continuità alla prole o mugliera, se ce l’ha. Ma è solo per questo?
L’acquirente del catalogo Bowie è la WMC, braccio “publishing” di uno degli oligopolisti dei media, la Warner Bros. Il CEO Guy Moot ha commentato il trasferimento con una frase a prima vista ovvia: “Queste non sono solo canzoni straordinarie, ma pietre miliari che hanno cambiato il corso della musica moderna per sempre”. Se vogliamo essere onesti possiamo concordare (forse) con la prima frase, ma certamente per la seconda abbiamo bisogno di parecchio tempo per convincerci.
Da un punto di vista di creatività musicale (innovazione, si potrebbe dire) Bowie non è uno di quelli che “hanno cambiato il corso della musica moderna per sempre” - non è Bach, né Duke. Talora il suo approccio armonico è singolare, e tale è il tono della sua voce, e in fondo è stato uno degli inventori del glam in musica. Ma tant’è.
Di 'canzoni straordinarie' posso difenderne a spada tratta un paio (Ashes to Ashes su tutte; qualcosa delle cose fatte con Lester Bowie, seppur in sottofondo) ma non quel pistolotto tecnofilo che tra Starman e Life On Mars c’ha ben preparato agli anni Venti, quando “l’emergenza ambientale” c’impone di considerare d’andare a vivere su Marte con un biglietto di sola andata (e qualcuno, pare, se lo è comprato). E Heroes, in fondo, è affascinante quanto consolatoria, e buttata nella mischia di fine settanta per alimentare “solo per un giorno” il mito della cortina di ferro.
Il discorso, però, non è solo di andar a vedere l’ideologia cantata dal Bowie. Piuttosto di comprendere perché questi cataloghi vengano acquistati a prezzi che ci si mette decenni a ripagare per quanto “valgono” cioè… con gli utili che creano. Ed il motivo è -come diceva Chuck Berry- perché Beethoven s’è fatto da parte e adesso, volere o volare, c’è Bruno… Mars (nessuna correlazione) e Nicky Minaj. Ed è qui che s’inseriscono Bowie e Neil Young.
Beethoven, Bach o Respighi sono merce per una frazione minuscola del pubblico. Il grosso del fatturato è fatto da gente che vuole distrarsi, cerca ‘hooks’ (ami = melodie che ti carpiscono) e frasi liberatorie. Quindi nuova musica classica è divenuta il pop.
Come la lirica entusiasmava il popolo, sin dai cori greci per arrivare al “Risorgimento”, grande (e forse la prima) operazione propagandistica menata con l’aiuto della musica, così oggi i Beatles sono considerati “imprescindibili” da chi si avvicina alla ‘musica del popolo.’ Sono i nuovi Beethoven.
Come sa chi sa di classica, anche allora c’erano i bravi e i così così. E c’erano gli innovatori e i copisti. E c’erano quelli che facevano musica per una sorta di allegria un po’ più spensierata di quella accigliata stile “l’Anello dei Nibelunghi.” In fondo, Franz Lehar e l’operetta francese non erano Wagner. E quanto stanno facendo le innumerevoli “Schools of rock” (corsi universitari basati sullo studio della musica rock) è sostanzialmente aiutare la costruzione di una sorta di piramidale scala gerarchica del pop da cui estrarre i nuovi Beethoven e Bach, da vendere poi per i prossimi cent’anni.
Ragionamenti simili si applicano a molti altri settori artistici, ovvero economici. La musica in particolare condivide destini simili do un altro 'mercato' artistico, la pittura. Ovvero, in sostanza, nasconde un duplice aspetto tecnico. Da un alto la musica e la pittura (o la scultura) hanno limiti di incremento d'affinamento tecnico e le avanguardie estetiche di entrambi sono sfociate nella differenziazione concettuale (si veda Rauschenberg o Cage. E pure
Alessandro Mendini.) Dall’altro, la riproduzione sonora (come una scultura o una tela pittata) implica un messaggio.
Quindi da un lato le combinazioni tra armonia, melodia e arrangiamento (o colore, superficie e volume) stringono verso una penuria di soluzioni alternative: al punto che (come ben descrisse a noi blowuppisti Giovanni Vacca nel suo RPM sui Talking Heads) meglio è concentrarsi su due soli accordi (o tagli su una tela… cfr. Lucio Fontana), se quelli ‘giusti.’
Dall’altra è inevitabile che quello che un medium di riproduzione vocale riproduca, con quei suoni semanticamente importanti, qualcosa che convoglia verso l’apprezzamento di un certo modus vivendi. Come l’arte astratta di Pollock faceva a favore della ‘libera’ America.
La conclusione è che tanto più la musica va avanti, tanto meno sono disponibili varianti, costringendo a richiamare cose già sentite (motivo per cui ho difficoltà a sentire certe canzoni di musica ‘nuova’ - so esattamente da dove… colgono.) A ciò si aggiunga che se un qualsiasi tipo si mettesse a cantare di temi proibiti (e solo Gesù sa quanti sono) beh… di quel tipo poca traccia o alcuna resterebbe nei media di massa/web. Le due cose, solo poiché insieme, congiurano verso una pesante riduzione della creatività e tempi in cui beats anodini tempesteranno i nostri sogni con martellanti ritmi da catena di montaggio, frasi vacue e niente più. Ovviamente solo nel peggiore dei casi.
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Pubblicato su BlowUp aprile 2022