Tutti in piedi! - Sull'inflazione delle ovazioni in piedi (e l'ovazione per l'inflazione.)
INFLAZIONE DELL'OVAZIONE
Nel gennaio scorso l’Economist ha recensito un’infelice “La tempesta” di Shakespeare al Royal Theater Drury Lane di Londra. Ne scriveva doppiamente impressionato: per la meccanica recitazione della protagonista (Sigourney Weaver, di “Alien”/a fama) e per il meccanico scattare in piedi del pubblico finale, deciso a decretarle comunque una plebiscitaria “standing ovation” ovvero un'ovazione in piedi (OIP.) L’anonimo redattore ne concludeva che trattavasi di ennesimo, deplorabile caso d’“Inflazione dell’ovazione.”
Il tema sembra superficiale ma è affascinante e riporta sotto il riflettore il SOP (o “Standing Ovation Problem,”) croce e delizia degli studiosi di scienze sociali. E che, in un omonimo studio del 2024, John Miller e Scott Page così esemplificano:
“una brillante conferenza economica termina e il pubblico inizia a applaudire, alcuni membri della platea possono decidere di alzarsi o non alzarsi. Arriverà una 'standing ovation’ o l’entusiasmo si spegnerà?’”
Nello sviscerare le condizioni delle dinamiche sociali che intervengono alla fine di una conferenza (o d’una esecuzione a ” X Factor”) Miller e Page iniziano col dire che l’applauso può essere strategico (per confermare all’artista o studioso la qualità del suo intervento,) o informativo (applaudo perché la qualità ha superato le mie aspettative) o conformista (applaudo perché gli altri lo fanno.)
Come sempre accade, più si analizza il problema, più si comprende la sua complessità, così i due aggiungono (molte) altre le domande, nel cercare di dare una risposta a perché la gente si alza ad applaudire. Tipo: quali influenze si creano tra gli spettatori o -meglio- ’agenti’? Quanto sofisticati sono gli agenti? Con che sequenza si sviluppa e in quanto si stabilizza l’evento?
I logici ci dicono che il SOP è un problema binario, cioè permette solo due risposte: “alzarsi” a applaudire o “non alzarsi.”
Molti altri problemi sono così (violare la legge o no? Quale candidato votare al ballottaggio? Far sesso casuale o no? Andare in pensione, o no?) e tutti condividono almeno tre cose: le risposte dipendono da chi ci sta attorno; chi sceglie possiede differenti livelli di sofisticazione intellettuale; le informazioni scorrono lungo una rete relazionale.
Certamente conta la mia posizione nella sala: se non sono in prima fila bensì in fondo, ho modo di vedere se e quanti si alzano e decidere di conformarmi, fosse anche solo - parlo per un amico - alzarmi per non stare a guardare le natiche dello spettatore davanti e precludermi la vista del palco. Ma non è finita.
Tipo: in che modo l’architettura del locale (es. un loggione) influenza la mia probabilità di applaudire? E se volessi usare un “agente provocatore” (che stimoli o raffreddi la tendenza verso la OIP) dove metterlo? e a far cosa? E se abbasso la qualità ma aumento la varietà dello spettacolo, aumento la probabilità di una OIP? E come impattano distribuzioni disomogenee del pubblico, ad es. se le prime file sono occupate dai fan?
Lo studio di Miller e Page ha beneficiato di quattro anni di analisi del ‘problema' da parte di allievi di un workshop estivo di “computational modeling” e, in parallelo, di futuri ingegneri della CalTech e di laureati in economia. Il che ha permesso di affinare il modello; ad es. (solo) gli ingegneri hanno incluso tra le condizioni che in genere lo spettatore si trovasse di fianco ad un amico o fidanzato/a, condizione ignorata dagli economisti (che ha fatto sospettare ai due studiosi la sgraziata ipotesi “che la differenza nelle condizioni base” fosse “dovuta sulla enfasi sulla scelta individuale che pervade la maggior parte della teoria economica moderna.”)
I teorici chiaramente considerano un non problema il caso in cui il pubblico sia obbligato a balzare in piedi dagli organizzatori, anche se potrebbe essere uno dei precursori dell’attuale “Inflazione dell’Ovazione.” Show come “X Factor” mostrano rituali OIP talmente sincronizzate da suggerire che siano guidate, così da aumentare la percezione qualitativa dell’intero show. Trovo però difficile immaginare una sala di concerti (esempio mio recente: il Bozart di Bruxelles, con Wim Mertens) in cui ‘agenti provocatori’ siano istruiti ad alzarsi a fine concerto per stimolare tutti gli altri.
Miller e Page si limitano a concludere che il SOP è complesso e la folla tendenzialmente si fa menare da una minuscola minoranza: la tipica “coda che scodinzola il cane.” Così, sconsolati, concludono: “quello che esattamente succederà” alla fine di un concerto “non possiamo dirlo, ad oggi. Dobbiamo aspettare che finisca il concerto.”
Non è un gran risultato, per un gesto che è diventato veramente comune. Ovviamente agli ‘esperti’ il SOP interessa perché il capire i ‘drivers' del comportamento di una folla arriva con un’importante posta in palio: identificare i nostri ‘tic’ e da lì non solo predire ma anche influenzare il futuro. È altrettanto chiaro che, se Miller e Page non hanno ancora tutte le risposte, non è forse detto lo stesso per altri, meno interessati a pubblicarle.
Comunque sia, quella sera al Bozart, tra i moltissimi coinvolti nella OIP alcuni di questi furono tra i primi ad andarsene, prima del bis. Quasi dicessero: ho fatto il mio dovere, adesso lasciatemi andare a casa.
L’Economist aggiunge un’altra ragione che giustificherebbe l’”inflazione-ovazione.” È legata, dicono, al prezzo del biglietto e alla sua (consolatoria e -pare- provata) correlazione positiva con l’OIP: del tipo, ‘abbiamo speso tanto, ma caspita se ne valeva la pena! Aspetta che mi alzo in piedi!’
E siamo nell'ovazione per l'inflazione.
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Pubblicato per Contrabanda sul numero di marzo 2025 di BlowUp magazine.