Playlist:
1. Nusrat Fateh Ali Khan - concerti a Birmingham - 1983 / 1985
2. Timmy Thomas - Why can't we live together - 1973
3. Zakir Hussain - concerto per Les Nuits de Fourvière, Lione - 2012
4. Verve - Bittersweet Symphony - concerto a Glastonbury - 2008
5. Keith Jarrett - Osaka pt. 1 - 1976
6. XTC - River of Orchids - 1999
7. Samite Mulondo - Endless Road - 2012
8. Abida Parveen - Ho Ji Maula - 2002
La potenza del qawaali viene dallo spirito. Dal cuore e dal modo in cui guardi la gente. Quando mischi parole e ritmo, diventa molto potente.
Nusrat Fateh Ali Khan
(...)
1 - Nusrat Fateh Ali Khan - concerti a Birmingham - 1983 / 1985
(...) "Nusrat se lo ascolti ti sviscera. Nato da una famiglia di origine afgana che per 600 anni ha avuto almeno un qawaal in famiglia e figlio di un grande cantante, uomo dal repertorio di migliaia di canzoni che cantava in urdu (la lingua ufficiale del Pakistan), panjabi (la sua lingua) e farsi (persiano), pare studiasse il qawaali anche dormendo, lasciando musica accesa durante il sonno e - leggenda vuole - che anche le dita dei piedi si muovessero a ritmo, nel sonno.
Il qawaal, a secondo dei luoghi in urdu, panjabi, dialetti vari e con citazioni in farsi di poeti Sufi, canta di Allah (lo ringrazia e ammette di essere perso in Lui: "la mia vita è il Tuo amore", "sono racchiuso nel Tuo amore", "in ogni profumo ci sei tu") e di Maometto e dei loro santi ma soprattutto vuole portare i presenti ai livelli di alterata coscienza che sono il presupposto del qawaali - musica fatta per portarci nell'Eden senza enteogenici funghi.
Lo spiega bene il sito nusratonline.com: "Ci sono grandi cantanti e poi ci sono quelli che vanno aldilà del tempo. Il compianto Nusrat Fateh Ali Khan non poteva solamente andare aldilà del tempo, ma anche oltrepassare lingue e religioni. C'era magia quando apriva la bocca, un senso di estasi sacra che era eccitante ed emotiva. Non era raro per ascoltatori occidentali, che non capivano una parola di quel che cantava o non potevano seguire le sue tradizioni Sufi, di essere portati alle lacrime mentre lo sentivano."
(...)
(...) Serata magica. La voce che appare dal buio, la rugiada melodica dalle pelli delle tablas, la nota di bansuri tenuta per 30" (attorno al ventesimo minuto) e l'improvvisazione che accelera il ritmo. Io mi perdo e mi ritrovo davvero nel dedalo in questa musica reale, lontana dall'apparenza alla televisione.
(...) Il gruppo di Zakir non concede nessun asservimento alla cultura egemonica, anzi, fornisce un pertugio attraverso il quale osservare il respiro profondo di un'arte che si perde nei secoli - musica che sta a quella pop occidentale come lo yoga sta all'aerobica di Jane Fonda. Strumenti senza corrente elettrica, ma con l'energia immortale dello spirito e per questo più possenti di qualsiasi wall of sound. (...)
C'è qualcosa di magico in questa improvvisazione avvenuta l'otto novembre 1976.
Non sono gli spunti folk, o jazz, o di musica romantica inizio XX secolo, nè gli slittamenti cromatici, ma la struttura armonica che inizia da 9'31", accompagnata dal thump! del piede di Keith sul palco ad accentuare il tempo, e subito dopo si scioglie per poi lentamente ricoaugularsi prima in una ballad, che richiama innumerevoli altre ballads (forse - più di altre - Memories of tomorrow, il bis che chiudeva il "Köln Concert.") Poi da 13'30" diventa chiara melodia, salvo scovare un'intensa ripetitività minimalista - rara in Jarrett - che inizia a 14'50".
Questo frammento potrebbe essere Steve Reich A.D. 2010 eppure Reich mai lo svilupperebbe, metodicamente e melodicamente come invece si fa qui. Perchè Keith tira poi fuori altre dissonanze e un diminuendo (siamo ai 20' del pezzo), per poi ristendere pasta armonica fatta di ali d'angelo e note e intervalli che ti portano in paradiso accompagnati dallo stuolo di armonici cherubini (ascoltate tra 20'24" e 22'25") e via! inanellando un'altra melodia.
Poi un'altra sequenza armonica e melodia (23'44") ed un'altra melodia ancora (26'07"), per finire - mezz'ora dopo quest'improvvisata perfezione - con una sorta di blues-folk.
La prima volta che ho vissuto questa parte dei monumentali "Sun Bear Concerts" (un cofanetto così denso di musica che ci vogliono anni per conoscerlo a fondo) ero in auto e ricordo che per poco mi sarei dimenticato delle uscite, delle corsie e del mondo intero, tant'è la potenza di questa musica.
C'è di tutto in questa serata talmente cantabile da far accapponare la pelle e davvero non voglio pensarla una serata improvvisata perchè non posso crederlo, ancora oggi. Eppure nessuna parola cantata, o accompagnamento - solo le dita e lo spirito di un genio e un piano ben accordato.
6 - XTC - River of Orchids - 5'53" - 1999
Andy Partridge merita (non chiedetemi perché) tutto il mio rispetto per via di quando, alla vigilia della partenza per un tour negli USA che avrebbe potuto significare il successo per gli XTC (nome tratto da un film di Jimmy Durante, non dall'MDMA), decise in crisi compulsiva-ossessiva che no, non ci sarebbe stato/andato. Chiuse così a chiave dal mondo dello show-biz gli XTC, tenendo bottega aperta solo in studio. Gli altri membri del gruppo, paradossalmente, tennero colpo. Poi il gruppo implose in silenzio, sprizzando sporadiche scintille, tra cui questa di cui parliamo come musica x gioia no. 6.
River of Orchids Andy l'ha definita "una parte Philip Glass, una parte Gil Evans, due parti di filastrocche con una buccia di carola natalizia" ma in realtà risponde ad una domanda che mi son fatto spesso: che fine faranno tutte le distese di asfalto dette strade quando i combustibili fossili saranno terminati? O se, ancor prima, la gente non avesse più soldi per il pieno? E perchè troviamo giusto un mondo con automobili e ponti superstradali in mezzo alla Val d'Orcia?
Andy Partridge, che odia le auto ("Ho avuto un sogno in cui un'auto era ridotta ad un fossile" canta una delle melodie del pezzo) ed è pure pacifista, si è dato una risposta a queste domande componendo al sequencer una canzone dalla struttura circolare, dove pizzicati di violini e contrabbassi sintetici su trombe campionate portano ad un crescendo insostenibile dove quattro melodie si sovrappongono e incastonano fra loro.
Un panino con in mezzo un hamburger d'orchestra campionata impossibile da addentare per chi, come noi, è schiavo di un mondo idrocarburato e "come cani impazziti, inseguiamo in cerchio la nostra coda" o facciamo jogging felici nel triangolo della moda milanese, in piena estasi da vapori diesel.
Andy conosce la soluzione, lui che ha "visto i denti di leone ruggire al Circo Piccadilly " e che ha visto il futuro, quando le strade lasceranno posto ad un fiume di orchidee.
7 - Samite Mulondo - Endless Road - 3'59" - 2012
"Addiction Incorporated" è un documentario che parla di uno dei più importanti whistleblowers della storia americana, almeno in termini di vite salvate. Victor de Noble era uno scienziato alla Philip Morris incaricato di sperimentare come aumentare la dipendenza dalla nicotina nei topi.
Più le sue ricerche andavano avanti (usando sostanze che aumentavano eccezionalmente la voglia di nicotina dei roditori), meno i suoi capi gradivano l'idea che i risultati venissero resi pubblici. (Figurarsi! Far sapere che queste sostanze ce le si sarebbe ritrovate negli apparentemente benefici filtrini delle Marlboro?!) Per far la storia breve, Victor s'è trovato senza lavoro e con il rischio di una mega causa sulle spalle. Oggi gira l'America - senza farsi pagare - per spiegare ai bambini i meccanismi che nel nostro corpo ci fanno scattare l'interruttore della dipendenza.
Samite Mulondo è il polistrumentista ugandese autore del CD "Trust" (www.trustcd.org), colonna sonora del documentario, prodotta insieme a Tony Cendras, già con Paul Simon, e Charlie Evans Jr., il regista di Add.Inc.
Similmente a Charlie (il quale, dopo aver prodotto il documentario a proprie spese, ha donato i diritti ad un'ONG attiva nella lotta contro la disinformazione sanitaria a favore delle minoranze), anche Samite ha fatto tutto a gratis, donando i proventi all'organizzazione umanitaria "Musicians for World Harmony", un'ONG imperniata sul concetto di terapia musicale. Ovvero, ad esempio: come evitare stress, depressione e il suicidio a bambini costretti a diventare soldati-bambini tramite terribili violenze usate contro di loro.
Ascoltate le quattro misure ripetute all'infinito di questa "strada senza fine" - sono di una felicità inconsolabile. Semite le usa, insieme ai suoi amici, per portare nell'Africa orientale un briciolo di felicità a quei villaggi che hanno subìto la distruzione della loro vita tribale: "la gente oggi affronta problemi mai affrontati prima, come bambini che sono stati costretti ad uccidere i propri genitori e parenti". Succede anche questo, fuori dai telegiornali.
"La musica può aiutare questi bambini: in un recente viaggio in un campo profughi in Mubende, Uganda, abbiamo portato 20 musicisti con tamburi e ballerini su un pick-up. La gente ha iniziato a correre verso di noi, saltando, battendo le mani e ballando. Allora, almeno, per 5 ore hanno dimenticato i loro problemi." Da profugo in Kenya, Samite ha conosciuto la sua dose di tristezza, per questo la sua musica è così solare: "So cosa vuol dire cantare e ballare quando hai dovuto confrontare tante brutte memorie. E' molto importante".
Altrettanto importante per noi sapere che ci sono ancora persone così, in giro.
7-
8 - Begum Abida Parveen - Ho Ji Maula - 31'45" - 2002
Abida Parveen non ha bisogno di presentazioni tra gli amanti del ghazal e del kafi. Ha una voce talmente affascinante e sinuosa che non stupisce sia stata chiamata la Nusrat al femminile. Sì, il suo corpo è massiccio e la voce da contralto ti accarezza la gabbia toracica dall'interno, ma ricorda Nusrat piuttosto per quel benedire l'aria con gesti che disegnano lo spazio mimando il serpentino sviluppo delle note del raga.
Vestita con kameez (tunica lunga) e shalwar (pantaloni) si confonderebbe in una folla, anche se - nel giro Sufi - parlare con lei è come aver udienza col Papa. Abida vive in uno spazio-tempo sui generis: non a caso ha ammesso di aver allucinato durante alcune sue intense interpretazioni vocali. E quello che lei dice di se stessa, rispetto ad essere un kawaal-donna, ha che vedere solo con l'amore vero: " il concetto di essere donna o uomo non mi sfiora, né mi sento d'essere sul palco. Sono solo un veicolo di passione."
Quando canta qawaali il suo non è un approccio tipico: gli strumenti che ama inserire sono spesso inusuali e le dinamiche meno violente rispetto a quelle che erano di Nusrat, o oggi di suo nipote Rahat. E' una risposta femminea, che viene dall'anima: "la musica non è uno spettacolo, è tutta la vita, è religione" e "purificazione".
Quando venne invitata da Nusrat per cantare ad una festa di famiglia - raccontano - il suo set iniziò alle 4 di mattina e la gente esausta dal lungo banchetto, grazie a quella voce magica, cessò di notare il passare del tempo; quando l'alba arrivò, ogni stanchezza era scomparsa e il nuovo giorno pronto per essere affrontato.
Questa Ho Ji Maula (arrangiata per voce, bansuri, santoor - un dulcimer suonato con martelletti metallici, tipico del nord dell'India - e tastiera elettronica) conversa con la vostra gioia più profonda. Concedetevi al suo amore e Abida vi regalerà una mezz'ora imperniata sugli scritti di Hadrat Sultan Bahu (1628-1691), il famoso santo mussulmano che ha impresso un nuovo significato mistico al termine fakir, cioè fachiro. Noto anche come il Sultan Arifin o "sultano degli gnostici", Bahu è il santo di quelli che "sono morti prima di morire", per usare la costante metafora dei suoi scritti: cioè di coloro che hanno raggiunto la vera conoscenza dell'Essere Supremo. Cosa che - ci dice Bahu - non trovi in chiesa, né con le preghiere di gruppo, ma guardando dentro te stesso, una volta ucciso quel "brutto cane nero" che è l'ego.
Ascoltandola declamare Bahu, Abida ti rivolta l'anima e t'incanta: anche se non ne capisci le parole, capisci che ti sta parlando di cose straordinarie. Provate a seguirla, a cantare con lei quando alla fine di ogni frase vi riporta a quella sequenza di note quasi ululate nel loro portamento: che le prime che sentite (a 1'36") sono sette ma poi, ad ogni successivo passaggio, mutano e le note si moltiplicano svolazzando nell'etere grazie a mille sottili variazioni. Provate a cantarle con lei e avvertirete quella sana vibrazione che gli induisti trovano recitando l'ohm.
Ho Ji Maula è un pezzo lentissimo, come una ballad di Shirley Horn, ma ti parla in panjabi, e anche in dialetto milanese e francese e quant'altro - insomma trasmette passione superiore e spessore interpretativo impressionante persino per chi è abituato a dare la giusta importanza alla dimensione spirituale (è noto come, prima di cantare un Santo Sufi, Abida soggiorni a lungo presso il santuario del Santo per assorbirne l'insegnamento più profondo.)
Guardate le centinaia di concerti di Abida, su www.playit.pk, e noterete come il successo che ha trovato Abida, Abida non l'ha incontrato: "I soldi? Non permetto loro di entrare nella mia mente, perchè sono degli inquinanti" dice "io sono fortunata. La mia platea è il mio Dio". Quando è successo - una volta, in Bahrein - che la platea decidesse come nazrana di ricoprirla di gioielli, lei alla fine se ne andò lasciando tutti quei monili sul palco: "quando sarò morta, nessuno mi ricorderà per quanti bungalow possedevo" commentò poi, troppo saggiamente per non darci da pensare.
Sul palchetto, intreccia corone di vocali nell'aria con le mani e quella voce angelica: che a volte potrebbe appartenere a un bambino, altre a una donna o ad un uomo, ma resta sempre affascinantemente pura. Non solo: Abida unisce parsi, urdu, sindhi, panjabi, saraiki e hindi in un continuum, così tenendo vivo il ricordo del tempo in cui - da Teheran a Mumbai, passando per Kabul e Lahore - esistevano grandi civiltà, non già droni telecomandati e bambini da uccidere come cani, salvo poi trasmetterli per cena nelle televisioni del "Primo Mondo", courtesy of Wikileaks.
Che profonda letizia potere impazzire d'amore, trasmettendolo con la musica.
"Non sono Sunnita né Sciita: entrambi mi rendono infermo; entrambi mi danno brucior di stomaco. La parte arida del mio viaggio finì quando mi distolsi da entrambi e mi tuffai nell'oceano dell'Unicità. (...) Non agogno al paradiso, non temo l'inferno. Non ho mai digiunato per il Ramadhan, né sono stato un devoto fedele in una moschea. Questo mondo è solo una finta rappresentazione teatrale. A meno che vi sia unione con Dio, o Bahu."
Hadrat Sultan Bahu
* nazrana: gesto di apprezzamento che spinge il pubblico a gettare cose preziose sul palco o sul musicista stesso
Pubblicato su BUM, Blow Up Magazine - settembre 2014.