Luca D. Majer
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"Insomma: stavano nascendo gli “stili.”

 

Soprattutto si stavano definendo i nomi per la musica degli immigranti nativi, afro-americani e dei poveracci bianchi (la ‘spazzatura bianca’ o white trash.) Classi liminali sballottate dal progresso industriale in lungo e in largo, in cerca di qualcosa che li rappresentasse. E confrontati ad un razzismo endemico.

 

Brackett considera che la bianca Marion Harris abituò i bianchi ad avere una donna che cantasse i blues. La chiama “l’Elvis Presley del blues classico,” e considera il suo Paradise Blues (del 1916) come una sorta di “gateway drug” (droga iniziatrice) verso la musica nero-americana omologa, cioè rappresentante concrete istanze proprie del cantante e del suo gruppo sociale, non più relegata agli estremi del sacro (gospel) o del profano (minstrelsy.)

 

Un genere insomma che ha qualcosa in cui il pubblico s’identifica. "

 

 

 

 

 

Pubblicato su BlowUp, 2023