Luca D. Majer
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Articolo su McLuhan, "psychedelic" McKenna e altre cose.

 

Credere è magico

 

VAR room

 

Pubblicità Brewdog

 

Marshall Mc Luhan

 

 

CONTRABANDA
 
Sotto vuoto spinto
 
Nel ’67 Marshall McLuhan sottolineò il cambiamento storico portato dalla radio-televisione notando come l’elettricità avesse “esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che (…) abolisce tanto il tempo quanto lo spazio.”
 
Poco dopo, Terence McKenna, il teoreta dell’esperienza enteogenica, ampliava il concetto nel suo impertinente ma imperdibile libretto (trovate il pdf gratuito in rete) “Food of the Gods.” Il cui 13° capitolo, intitolato all’uopo “Droghe sintetiche: eroina, cocaina, televisione,” legge:
 
“l’esperienza televisiva consente al partecipante di cancellare il mondo reale ed entrare in uno stato mentale piacevole e passivo. (…) La dipendenza dalla TV distorce il senso del tempo. Rende altre esperienze vaghe e curiosamente irreali mentre assume una crescente realtà tutta sua.”
 
Ne scrivo durante i Campionati Mondiali di Calcio in Qatar, buon momento per testare le osservazioni di McLuhan e McKenna. 
I “Mondiali” sono una delle poche ricorrenze (le altre essendo Olimpiadi e qualche festa con acrobazie di aerei militari) per le società occidentali di tener visivamente vivo il concetto di nazione, ormai reso desueto da un’economia e relativo spazio ideologico globali.
 
Eppure, paradossalmente, la prima cosa che salta agli… occhi è quanto una partita di calcio sia uno spettacolo più aurale che visivo. Cosa che viene presto dimostrata dall’assenza di partite teletrasmesse senza commento. E dalla presenza (in Italia quasi sacra) di partite radio-trasmesse su scala nazionale.
 
Per vedere l’azione, ci bastava udire i suoni della virile pugna. E l’urlo della folla, i cori del pubblico, le rullate di tamburi, le tempeste di trombe e trombette. E ovviamente, a completare l’esperienza di questo circo socio-musicale mancava solo la descrizione di sgambetti e piedi destri, insomma la testimonianza orale rilasciata con incalzante recitativo da voci poi mitiche, come quel Nicolò Carosio figlio di un doganiere palermitano e di una pianista inglese. 
 
L’aggiunta delle immagini -oggi di stupefacente definizione- mise per così dire un turbo a questo spettacolo cageiano-circense, astraendo il contenuto dal contesto e portando la sua rappresentazione elettrica a sembrare più vera del vero. È proprio una rappresentazione sullo schermo (il temuto VAR) che guida gli arbitri a comprendere veramente se c’è stato rigore o no… E lo spettacolo televisivo viene proiettato persino nello stadio, ad interferire col piacere dello spettacolo ‘vero.’
 
Ed offre uno scorcio parallattico quando gioca sporco per distrarre dal gioco, zoomando su dettagli hitchcockiani e regalando primi piani degli attori, soprattutto la tifoseria, presa a suonare grancasse improvvisate e addosso funambolici costumi variazioni della bandiera nazionale; ma TUTTI, indifferentemente, come colpiti da un fulmine quando vedono la propria immagine riflessa nell’enorme schermo: che li risucchia in un alieno vortice elettrico per sparpagliarli in tutto il mondo: eccoli lì, dunque “eroi giusto per un giorno” o per quell’istante.
 
I Mondiali sono un “festival” (la parola usata dalla FIFA in Qatar) dalle grandi comunanze col festival elettrico per eccellenza, quello rock: folle oceaniche, stati di coscienza eccitati oltre la soglia del pudore, rituali praticati sia in platea che sul palco/campo, obnubilamenti psicoattivati, tensione spirituale. E -nella sua riproduzione elettrica, in TV- il montaggio con l’aiuto di macchine distorce il tempo forzandolo in un’azione rallentata, oppure moltiplicando i punti di vista magari astraendosi dal campo di calcio e aggiungendovi linee, schemi di gioco sovraimposti e magari un pallone digitalmente modificato che lascia una scia bianca dietro di sé. 
 
Aldilà del cronista e dei cori di tifosi e delle trombe, la dimensione semantica si perde in un abbraccio liminale dei sensi, quando -tra la folla e il suono e l’immagine del pallone/pallino bianco- l’occhio non può mancare di leggere i brevi messaggi che si alternano nei lunghissimi pannelli pubblicitari a bordo campo. Uno spettacolo nello spettacolo. “Impara a codificare” ci ordina una perentoria scritta; “Noi facciamo” ci rassicura un’altra. E se uno ci dice d’essere “il meglio” qualcun altro promette “ovunque”. Ma tra tutti gli slogan ne spiccano tre: “Nulla è impossibile”, “La pausa è potere” e “Credere è magico”. 
 
Sono imperativi apodittici, imposti alla nostra attenzione periferica solo per manciate di secondi ogni volta, ma con una certa frequenza. “Nulla è impossibile” fa un po’ “newspeak,” direte voi? Mai avvilirsi! Io intanto chiederò in giro, a un paio di disoccupati, com’è che… “la pausa è potere.”
 
Ma sul “credere è magico” il concetto lo spiega la filmina pubblicitaria dell’omonima campagna: ragazzina beve la bibita pubblicizzata, entra in allucinazione sensoriale, coglie una sorta di manna piovuta dal cielo e vive il Mondiale davvero - nella sua testa. 
 
Scriveva McKenna: “la televisione è grazie, alla sua natura, la droga per eccellenza del dominatore. (…) [essa] induce nello spettatore uno stato di trance che è una necessaria precondizione per il lavaggio cerebrale.” So what? Se così anche fosse, i primi esperimenti di trans-umanismo hanno aggiunto un’importante informazione: che ci risulta impossibile percepire quando il nostro cervello è etero-diretto; se la gode in santa pace.

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