Stivaletti & c.
Il mercato delle memorabilia (pseudo) musicali è pure esso allucinato?! Chi mai possederà oggi gli stivaletti che “Macca” McCartney indossò in quel suo concerto alle Olimpiadi 2012 di Londra, dalle luci compassate? Sono stati battuti a Londra da Sotheby’s il 31 maggio scorso - per beneficenza al ‘movimento’ “Lunedì senza carne.” La stima era tra 10 e 15 mila sterline, il risultato per ora non si sa, era una “asta sigillata.”
Ma spizzichi di altre follie potete leggerli registrandovi su Guernseys.com. I prezzi realizzati sono da iper-inflazione: volevate la (beh, una delle quattro) Kramer Stryper Guitar di Eddie Van Halen? Ci volevano 120.000$. E per “il" (diciamo, “un”) clarinetto di Benny Goodman? 24.000$. E se mai aveste voluto a casa vostra - diméntichi della sfortuna che portarono alla povera Nancy Spungen - le porte originali del Chelsea Hotel? 80.000$. (Storia vuole che furono salvate dalla monnezza da un senza tetto di New York.) O magari dell’Hotel Chelsea (il suo vero nome) volevate invece la porta di una stanza usata da Bob Dylan? Bisognava cacar 100.000$. (PS: ai valori citati aggiungeteci ca. un 25% di premio per la casa d’aste…)
Forse non sono cifre così folli: i Beatles sono già nei musei e il rock sempre più sta diventando questione di ricordi e mitologia. Perché questo sarà un mercato curioso, ma non fesso. Ne potrebbe essere una dimostrazione il dettaglio che “quella che è ritenuta [ahaha] essere l’unica delle tre [ahahaha] copie sigillate del Doppio Bianco dei Beatles con il numero A0000001” venne proposta all’asta con una stima tra 750.000 e 1.000.000$, ma finì invenduta: oggi si può ‘biddare’ per “soli” 200.000$. Per dirla con un acronimo, Lmfao.
Eurovisione ‘24
L’Eurovisione l’ho in uggia da 50 anni fa, quando - a Brighton - incoronò gli ABBA invece di Gigliola Cinquetti.
Avvenne per via di Waterloo, il cui testo era giusto un molto inglese rigirare il coltello nella piaga francese della sconfitta del 1815 - un trucco (insieme all’ipnotico motivetto) che riuscì a farli vincere. (Curiosamente NON con il voto del rappresentante inglese della giuria).
Nel frattempo gli ABBA sono diventati un successo stellare. E poiché “cash is king,” ovvero cartamoneta canta, quest’anno l’Eurovisione, che succedeva a Malmö, ben ha pensato di rammentarci l’episodio.
Non mi lamento di finezze come Zorra (= cagna) della concorrente spagnola Nebulossa. Mi lamento per la ri-comparsa degli ABBA e per due motivi. Primo… perché sono arrivati. E qui conviene parafrasare Stefano Bianchi, amato direttore di BlowUp, per spiegare come per me la loro mitopoiesi “sta nell’elastica distanza che riescono magicamente a mantenere tra il sublime, il verosimile e la merda,” (forse giusto solo senza il primo. E, per motivi che saranno chiari fra poco, anche il secondo.) Poi perché sono arrivati addirittura in due versioni d’età, “prima” e “successivamente.”
I giovani ABBA (per necessità legate alla curvatura spazio-tempo di questo pianeta, o per il fatto che gli ABBA non sono ancora a conoscenza del segreto della materia, per dirla con Gustavo Rol) erano disponibili solo in versione ‘finta’ (o meglio “A.I. Ah!”) mentre gli ABBAttempàti sono arrivati ‘in vero’ giusto dopo gli ologrammi, per far capire l’antifona. Per quanto gli ologrammi fossero fottutamente (o - come il correttore automatico mi suggerisce di scrivere, ahah - ‘fortuitamente’) realistici, l’ammiccante passerella restava di dubbio gusto.
La migliore canzone della competizione canora proveniva dalla nota nazione europea, l’Armenia. La definisco tale perché era l’unica a mantenere qualche tratto originale della propria tradizione musicale. Il resto dei contendenti vagava più o meno in una steppa di spettacoli di luci, paillettes e stroboscopi. Con suoni internazionali, che di europeo hanno giusto il nome