Il futuro non è più come una volta.
Paul Valery/Yogi Berra
"La canzone di protesta esiste ancora? Beh si. Perché la storia si ripete e noi siamo troppo occupati per notarlo. Il lato positivo di questo dimenticare la storia (o non riuscire a vederla cambiarsi i panni) è che assicura una più ampia gamma di risposte alle situazioni che ci si presentano davanti, incluse risposte che in passato non avevano funzionato. Una di queste è il pacifismo, dai 1960 praticamente sinonimo di canzoni di protesta.
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Oggi di “pace” sulla corrente mediatica principale se ne parla poco. Quando lo si fa, meglio farlo in canzone. John Lennon, ben più che il Dylan-‘63, apparso più volte sull’epidermide mediatica, conferma la pole position come “pacifista” più amato. Così Imagine è diventato un inno per tutte le stagioni (al punto che c’è chi ci legge un subliminale inno mondialista: “Imagine there’s no countries/It isn't hard to do.”)
Elon Musk s’è usato l’anodino titolo populista Power to the people per pubblicizzare la propria -presunta- apertura anti-censoria su Twitter. E ora Roger Waters, per istanze pacifiste, si mette a suonare Lennon ad un raduno di @RageAgainstWar, concludendo l’intervento sulle note di Give Peace A Chance a mo’ di condanna verso quello che definisce “il modus operandi accetto” del “modello della guerra perpetua.”
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MLK è invece spuntato qualche giorno fa a New York, citato da un tizio nell’ambito delle audizioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ray, il tizio in questione, lo cita introducendo la canzone che poi canta davanti a quella silenziosa e piccola platea.
Bianco con barba bianca, il capello lasciato un pizzico lungo, sguardo empatico che potrebbe essere il fratello serio di Willie Nelson. Ma da quel che racconta agli astanti, Ray ha lavorato insieme a dr. Vincent Harding, noto ai più come il ghost-writer dei discorsi di MLK.
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Quella canzone in quella situazione m’ha riportato alla mente uno scritto di Slavoj Zizek dedicato al paradosso che… detto molto succintamente, “la critica al punk è anche lei punk.”
Nello scritto, parlando di rituali ideologici paragonabili al CdS dell’ONU, Zizek identifica come cruciale il gap tra conoscenza e credenza. Una separazione che consente alla maggior parte di noi di “continuare ad andare avanti,” tramite un’adesione ideologica distaccata, che non bada alla “letteralità senza senso del rituale ideologico.” Quando il distacco manca, e questa mancanza di senso diviene evidente e immediata, inevitabilmente ci assale un senso di alienazione.
Zizek lo osserva succedere con la musica ‘totalitarista’ dei Laibach, gruppo sloveno iper-intellettuale che con uniformi militari e l’inno russo in sottofondo de-cantano frasi come: “La violenza non è un sistema né un’estetica, tanto meno divertimento.”
All’ONU il gap era fra la conoscenza di questo Ray (che di cognome fa Mc Govern: ex-funzionario CIA che arrivò a compilare anche i brief dell’intelligence per il Presidente) e il set di credenze che anima un rituale come il Consiglio di Sicurezza ONU.
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Che sia un ex-uomo CIA a cantare una canzone pacifista all’ONU, chiedendo di amare il nostro nemico, ha dell’incredibile. Tempi-strani raga.
Pubblicato su Blow Up aprile 2023.