Un commento sull'intervista di Mikal Gilmore a Bob Dylan (Rolling Stone, settembre 2012).
"The lights of my native land are glowing/I wonder if they'll know me next time around"
("Brillano le luci della mia terra natale/Mi chiedo se mi riconosceranno, al prossimo giro")
Bob Dylan, "Dusquene Whistle", 2012
In "Matita Emostatica" (2011) - al fine di poter arrivare a spiegare alcune altre cose - ho proposto una sincopata 'storia del rock'. In essa, tra l'altro, non ho potuto esimermi dal parlare della "cartavetrata sonora di Bob Dylan" primo periodo e del suo "incidente in moto del luglio ’66 quando qualcuno gli piazzò un camion di traverso alla strada". Il momento, scrivevo e continuo a crederlo, era topico giacche' l'incidente - se mi si permette la grande sintesi - l'aveva "di colpo zittito" ma soprattutto aveva segnato quella che, scrivevo e continuo a crederlo, fu l'inizio della fine degli anni Sessanta.
Il mio professore di filosofia al liceo diceva che tutti gli esempi sono sempre grossolani, e - aggiungo io - tutte le sintesi sono sempre cagnesche, quindi spero vorrete prendere anche questa cum grano salis. In effetti nel libro continuavo considerando che Bob Dylan fosse una sorta di grande vino, espressosi con tre millesimi superlativi (il 1964, il 1965 e il 1966), un po' dimentico delle grandi cose fatte dopo-il-1966 dal Vate di Duluth. Cioe' Dylan, a.k.a. Robert Zimmermann, ovvero Bobby - che mi e' entrato nel sangue a 14 anni mentre ascoltavo "Freewheelin'" manco fosse il quinto vangelo e sui libri di Fernanda Pivano leggevo i testi (inglesi) e li cantavo e imparavo a memoria.
Bobby ha sempre parlato di traverso nelle interviste. Il Vate di volta in volta annunciava che Peter Lorre (il mitico pedofilo di "M" di Fritz Lang - con quegli occhi da pesce e il portamento da tonneau di legno di Slavonia) era il più grande cantante della storia della musica folk, oppure si rifiutava di spiegare una certa canzone al reporter di turno perché questi non era mai stato nel Messico del Nord (la canzone era "Rainy Day Women no. 12 & 15" che parla della Bibbia, non del Messico. La ricordate cantata in italiano da Antoine a Sanremo? Si tradusse in "Pietre"). Una volta Bobby ebbe persino a dire che la realtà e' "un barbone, che vomita nella fogna" e lo disse ad uno storico di biologia molecolare, Horace Freeland Judson; quest'ultimo una brava persona, debbo credere, ma per (sua) sventura era finito a fare il reporter della rivista Time (e se lo volete, questo e' quanto ricordo di quell'accaduto) - non viene ormai ricordato, Horace, come un fan del vate di Duluth...
Bobby ha parlato di traverso anche nell'intervista (pubblicata sul Rolling Stone americano all'inizio dell'autunno 2012) che ha fornito lo spunto a questo articolo. Ma soprattutto ha ripreso quella famosa faccenda dell'incidente di moto, sfornandola - il che fa bene, giacche' la storia non e' mai stata troppo spiegata - sotto una luce totalmente nuova. Una luce talmente nuova che taluni l'hanno citata in causa per dimostrare che Dylan e' ormai sclerato. O che - ancora una volta! - Bobby prende in giro chi lo intervista. O che comunque Bobby racconta frottole - vuoi per diletto o colpa.
In realta', quello che Bobby fa, vangando nella storia di quest'incidente, e' di tirare fuori un'altra pietra miliare della storia del rock (almeno come la ricordo io): gli Hell's Angels. Risulterebbe infatti che un leader degli Angels di Berdoo, nel 1964 (per Dylan - ma sarebbe nel 1961, secondo le ricerche fatte da Rolling Stone) sarebbe morto, in seguito ad una manovra a U dallo stesso eseguita a bordo della sua motorbike mentre tornava da un raduno degli Angels. Bam! Ucciso sul colpo dalla moto di un compagno. Il quale compagno stava sorpassando il serpentone di bikers, ma in realtà era sulla corsia sbagliata al momento sbagliato: fu cosi' che uccise il suo capo. E il ventunenne leader - morto sul colpo - aveva in effetti avuto dei presentimenti, prima di partire per il raduno; al punto che aveva chiesto alla sua ragazza di non viaggiare in sella con lui.
La cosa toccante e' che questo giovane leader stroncato dal destino (un tipo abbastanza sul violento - era noto per aver staccato un occhio con una catenata ad un suo opponente) si chiamava Bobby Zimmermann. E l'altro Bobby Zimmermann ha scoperto la storia leggendo un libro scritto (vuole il caso) da altri due Zimmermann, Keith e Kent: la qual cosa aggiunge un'ulteriore manciata di schegge sincroniche all'improbabile storia di un omonimo che, due o cinque anni prima poco importa, con lo stesso nome andava a schiantarsi in moto come avrebbe poi fatto il Bobby Zimmermann di Duluth - in una strada di Woodstock, nel nord dello stato di New York.
Per la prima volta, in questa intervista, Dylan afferma che fu quella morte una pietra angolare, la base spirituale della propria trasfigurazione. Si', proprio la trasfigurazione di cui parla il Vangelo, quella che Gesu' subì, facendo intravedere la propria natura divina: trasformando le fattezze da schiavo, da umano suddito del Signore in una veste di accecante luce che (e' un'interpretazione) solo alcuni eletti riuscirono a vedere - perché in fondo lo spirito non e' una condizione per tutti.
Tornando a noi e al racconto del Vate, SI': dopo l'incidente divenne una persona totalmente differente, SI' la sua musica cambio' per sempre. Perché (SI'!) : "Transfiguration is what allows you to crawl out from under the chaos and fly above it" ("La trasfigurazione e' quello che ti permette di strisciare fuori dal caos e volarne al di sopra".)
La storia suona fastidiosa ad orecchie impreparate ad accettare l'imprevisto, o a funzioni non lineari. Sta di fatto che Dylan (nel suo argotico multifunzione e ad usum di un intervistatore che fa il possibile per sembrare di non capire - o forse non capisce del tutto) conferma quanto quel 1966 fu anno fondamentale.
Dice di più, anzi. Dice che gli anni Sessanta iniziarono nel 1965 o giù di li' - e ricorda bene come Scorsese, nel suo bellissimo-che-fa-lacrimare film "No Direction Home" (2005) interruppe il documentario su Bobby Dylan proprio nel 1966. Non lo ricorda (perché e' persona per bene e non ci evita il piacere che deriva dal piccolo sforzo mnemonico) ma Scorsese interrompe il film proprio quando Dylan denuncia il malessere dell'essere in tournée e dell'essere lontano da casa e del volere tornare a casa, in timore di cose peggiori. Cose che - da li' a qualche mese, vuole il caso o la sincronicita' o chissà cos'altro - sarebbero in effetti successe, trasfigurandolo per sempre. Cose che, vuole la sincronicita', erano già successe, con risultati ancor più gravi per qualcuno. Insomma, per fare un'altra sintesi: gli anni Sessanta, prendetemi alla lettera, forse durarono un anno o giù di li'.
E' vera la storia che Bobby si sia trasfigurato in Bobby, come afferma Dylan? A noi non interessa saperlo. Non e' quella la questione. C'interessa invece leggere di Bobby "l'angelo del diavolo" esistito davvero e davvero morto su una moto. E davvero, in un giorno del 2012, questa storia di specchi e doppelgaenger e' uscita dalle labbra dell'unica persona autorizzata a citarla con un minimo (?) di autorità, un artista che (tra l'altro) ha appena ricevuto la Medal of Freedom dalle mani del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Il che fa ricordare con piacere che nell'intervista Bobby ha evitato di rispondere al "tedious argument of insidious intent" dell'intervistatore, alla ronzante attività propagandistica che voleva a tutti i costi spremere dall'icona del folk/rock/blues bianco una benedizione, un avvallo per Barack Obama, in piena campagna elettorale per la ri-elezione. Bobby non casca nel tranello, anzi: "Dovreste chiederlo alla moglie di Barack cosa pensa di lui - e' l'unica che conta" e' stata la sua laconica risposta.
Fa pure piacere che Dylan nell'intervista si lasci andare umanamente e filosoficamente ("You say things sometimes, you don't know what the hell you mean. But you're sincere when you say it.") e si ricordi di quando, negli anni Cinquanta, nel cuore freddo degli Stati Uniti, in Minnesota, tutto era più semplice e la vita era dominata dal ritmo delle stagioni mentre oggi si vive di "supermarkets, shopping malls e Multiplexes e Home Depot e tutto il resto". E piace che artisticamente non abbia dubbi sul proprio valore, anche se nulla gli e' dovuto: "I have taken things to a new level because I've had to. I was forced to. You have to constantly reshape things because everything keeps expanding on you." E mi piace che ricordi il sacro Miles Davis, di quanto si trovassero d'accordo sul fatto che la musica non esiste davvero se non viene suonata dal vivo, davanti a persone vere.
Ma fa ancora più piacere sapere che, attraverso la morte, metaforica o vicaria, Dylan sia riuscito a tirarsi fuori dal caos e a volarci sopra. Non e' forse l'aspirazione di noi tutti? E possiamo davvero farcela, ci ricorda Dylan, poiché ciascuno di noi ha "la propria cosa" e può, anzi dovrebbe, far rifulgere al meglio la propria parte speciale, lode del carattere, del corpo e della mente che ciascuno di noi si ritrova.
Dylan e' un pezzo di storia della musica che ha da poco compiuto settant'anni. La storia lo ricordera' per qualche centinaio d'anni, almeno. It's ok with me.
"Well, I try my best / To be just like I am / But everybody wants you / To be just like them / They say sing while you slave and I just get bored "
LDM - 29 - 9 - 12