E ho fatto 48 takes agli studi Shepperton e avevo il sigaro e tutto il dialogo e il linguaggio tecnico militare e ho iniziato a [schiocca le dita] sbagliare, sbagliare, sbagliare. E qualcosa mi ha detto: certo ho già avuto problemi, per dire 8 takes, 10 takes, 12 takes, eh? Ma qui si andava oltre la ventina, eh... E sudo come un cavallo e mi asciugano con un panno... E fu lì che successe una cosa bellissima, parlando di Stanley Kubrick. Alla fine mi sono alzato, non ce la facevo più. Sono andato da lui e gli ho detto "Stanley, mi voglio scusare con te". E lui mi disse questo, una delle cose più belle che un uomo mi abbia mai detto nella vita. Mi disse: Sterling, lo so che tu non riesci ad aiutarci e io non posso aiutarti, MA il TERRORE nei tuoi occhi, sulla tua faccia potrebbe essere proprio la QUALITA' che vogliamo da questa testadicazzo del generale Jack Ripper. Mi disse: Se non è così, torna fra un paio di mesi e rifacciamo tutto da capo.
Cioè: fu stupendo. Non lo dimenticherò mai. (...)
Ah! Quello che si dice un recitare all'inverso! Eh?
Sterling Hayden - sull'impersonare Jack D. Ripper
La cosa importante è di non smettere di chiedere. La curiosità ha le sue proprie ragioni d'esistere.
John Cage, anaRchy
Sometimes even opinion makers have their eyes wide shut.
Stuart Klawans, New York Times
Non hai ancora capito che devi essere come tutti gli altri. La mediocrità perfetta. Non meglio, non peggio. L'individualità è un mostro che va strangolato nella sua culla.
Maurice/Kola Kwariani
(...)
What sort of a world is it at all? Men on the moon and men spinning around the earth and there’s no attention paid to earthly law and order no more.
[Che razza di mondo è? Uomini sulla luna e uomini che ruotano attorno alla terra e non c’è più nessuna attenzione prestata alla legge e all’ordine terrestri.]
Vecchio barbone, Arancia Meccanica
Milioni di anni sgranano davanti ai nostri occhi, mentre un osso carambola in aria, accompagnato dal vento e poi dal silenzio. Così SK c’invita nella sua sala da ballo spaziale di 2001: dove un crescendo ci prepara all’esplosione ed un valzer conduce astronavi danzanti nello spazio. Forme organiche e antropomorfiche offrono omaggio alla potenza umana e al capi- tale, mentre la musica del ‘bel Danubio blu’ (An der schönen blauen Donau dell’austriaco Johann Strauss Jr., da non confondere con il bavarese Richard Strauss - quello di Also spracht Zarathustra) emette riflessi auto-celebrativi, sfarzosamente imperiali: valevano per l’Impero Austro-Ungarico, valgono per la NASA. Vorrà il caso ma il pezzo venne composto nel 1866, mentre a Londra fondavano - prima del suo genere - “The Aeronautical Society of Great Britain”.
Il pezzo - composto da un’introduzione in 6/8 seguita da 5 valzer in 3/4 - descrive un’eterea e gioiosa altalena sonora, non scevro da raffinatezze: come, nel valzer 4, il tono più alto e lungo della linea melodica appoggiato sul downbeat così da creare una sensazione di galleggiamento etereo - o la chiusura del pezzo tronca su una nota che lascia irrisolta la melodia.
Non stupisce che questa scena abbia attratto commenti i più disparati: Piers Bizony definirà 2001 non un film da vedere, ma “un posto dove andare” tanto densa è la materia con la quale lo spettatore viene investito (si sa di un tipo - negli USA - che correndo verso lo schermo, in palla da acido, lo penetrò all’urlo di “E’ Dio! E’ Dio!”) mentre John Williams scrisse: “nelle mani di Von Karajan la musica diventa un’opera d’arte che dice ‘guarda’, che dice ‘aria’ che dice ‘galleggia’ in meravigliosi termini orchestrali”.
Eppure la scelta del Danubio blu - anche per uno come SK che si auto-definiva dai gusti musicali “cattolici” - è più cattolica di Madre Teresa. Non mi stupisce che - per queste scene - il compositore americano Irwin Bazelon abbia pensato ad una chiave di lettura imperniata sul kitsch di Strauss: “muzak che ti serve per andare sulla stazione spaziale, che ormai è in mano a Howard Johnson e a Conrad Hilton”. Insomma, tutto ruota.
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Daisy Bell era una canzoncina di Harry Dacre che un tale Max Mathews (laureato alla Cal-Tech e al MIT, dirigente della Bell Telephone Laboratories tra '62 e '85) aveva registrato nel 1961 con la voce generata da un computer IBM7094 (NB: della storia ho letto altri nomi e versioni diverse - potete ascoltare l'originale su vintagecomputermusic.com). Mathews poi continuò in campo musicale pubblicando alcuni pezzi in una raccolta di musica elettronica della Decca, Music for Mathematics, e collaborando con Varèse, Cage, oltre ad aiutare Boulez a mettere in piedi l'IRCAM a Parigi. Scelte informate, insomma, con un pezzo e un personaggio assai noti nel giro dell'A.I. americana.
In altre parole questi tecnologici valzer della morte ci obbligano a considerare l'eventualità che SK si sia concesso il piacere di dare voce pure a chi - proprio in quegli anni - s'interrogava sul delirio di accettare le fatalità derivanti dalla tecnica, ovvero accettare la tecnica come destino. Penso al filosofo Jacques Ellul che proprio rifiutava questa fatalistica predisposizione sollecitando l'umanità a ribellarsi, ritrovando i tratti delle tragedie greche in questa mitica battaglia per la supremazia fra tecnica e intelletto.
Chiamiamolo un caso, ma nel discorso di accettazione del più importante premio che ricevette in vita (il DW Griffith Award - 1997) SK resuscitò proprio un mito greco, parlando contro la saggezza popolare. Parlò di Icaro e di come, a suo avviso, quel mito non criticasse tanto il " volare troppo alto" quanto piuttosto suggerisse di "fare un miglior lavoro" con le ali. Cosa esattamente ciò voglia dire è - come sempre con SK - questione di gusti.
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Ma quel che più mi preme qui è di parlarvi del cantante di questi due pezzi focali della "toeletta rossa" suonati dalla Ray Hall Orchestra: vi parlo di Albert Allick "Al" Bowlly.
Nato a Lourenço Marques (Mozambico) nel 1898, vivrà una vita incredibile: figlio di mamma libanese e papà greco, tirato su in Sud Africa, con i primi successi a Surabaya (Indonesia), poi Kalkata (India). Arriva infine a Singapore e - nel '27 - a Berlino e l'anno dopo è a Londra, dove gli arriva addosso la Great Depression e si ritrova a fare anche il cantante di strada. Si riprende, arrivando a suonare al trendy Monseigneur Restaurant e infine nel '34 approda negli USA con la band di Ray Noble e un all-stars line-up (del tipo Claude Thornhill, Bud Freeman, Charlie Spivak) messa insieme da Glenn Miller. 'Viaggiatore globale' ante-litteram, ebbe carriera a sali-e-scendi per via di problemi alla gola che lo tennero lontano dai palchi per lungo tempo. Da qui la necessità di rifarsi un pubblico e ricominciare dalla gavetta. Optò di farlo in Inghilterra, ritornandovi nel '37 con la 2a moglie Marjie. (Non cercate notizie sulla prima moglie: l'unione durò eccezionalmente due settimane - Al aveva trovato la fedifraga a letto con un amico il primo giorno di matrimonio!)
Così il 17 aprile 1941 suonò a High Wycombe in duetto col chitarrista Jimmy Mesene ("Due voci e chitarre in armonia") decidendo poi di ritornare - col treno delle 22.34 - a Londra, a casa sua. Fu la peggiore notte dei blitz aerei nazisti contro Londra. Nessuno sa se decise di ignorare le sirene della contraerea oppure non le sentì. Lo trovarono la mattina dopo, disteso e intatto nella sua stanza al 32 di Dukes Street, ucciso da una porta scardinata dalla silenziosa bomba germanica paracadutagli sulla soglia di casa. Kubrick non avrebbe potuto descrivere meglio l'assurdità della guerra.
Amo Al anche perchè è il João Gilberto dell'emisfero settentrionale. Chitarrista dall'esile slide, venne definito il primo dei crooners e pure la "prima pop star" ma preferisco la definizione del blogger lifeinthelongtail.wordpress: "Nel momento in cui canta, qualsiasi sia la canzone, lui è la canzone. La canzone è lui." E infatti nei pochi filmati rimasti lo vedi cantare accarezzando con le mani l'aria e le dita stirano i concetti e le parole quasi come stesse scolpendo la statua di Venere davanti ai nostri occhi. Lo stesso Ray Noble disse d'averlo "visto allontanarsi dal microfono con le lacrime agli occhi". Assoluto fascino: guardate il filmato di Melancholy Baby!
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Pubblicato nel numero di dicembre 2015 di BlowUp Magazine