Luca D. Majer
Caffè  Musica  ed altro  
 


"Quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo. Chi vola non si sa."  
Carmelo Bene, "Nostra Signora dei Turchi" (1966) - "il monologo dei cretini"

 

"L’arte è quello che vogliamo sia la vita e perciò non puoi dire “impara l’arte e mettila da parte”, perché non puoi né impararla né metterla da parte."
Carmelo Bene, Intervista a “Cinema & Film”, estate-autunno 1970

 

"Non è facendo il furbo che diventerai cretino."
Carmelo Bene, "Nostra Signora dei turchi" (1966) - pag. 107

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uno sguardo al film "Nostra Signora dei Turchi", caso vuole 540 anni dopo il Sacco di Otranto. 
 
 
"E' brutto, arrogante, incentrato su sé stesso, politicamente neutrale - e geniale."
Gideon Bachmann (su Carmelo Bene), "Film Quarterly" inverno '72/'73
 
"L’arte è quello che vogliamo sia la vita e perciò non puoi dire “impara l’arte e mettila da parte”, perché non puoi né impararla né metterla da parte."
CB, “Cinema & Film” estate-autunno 1970 
 
 
"Egli distende il settentrione sul vuoto, sospende la terra sul nulla."
Giobbe 26,7
 

 

Il primo e per ora ultimo attacco dei Turchi in terra italica iniziò ad Otranto. Fu il capriccio del vento (chiamiamolo il Caso) a far desistere i mori dall'attaccare Brindisi; ripiegarono sulla piccola Otranto, ove sbarcarono il 28 luglio 1480.
 
Ci dice Ilarione - nel 1481 - che "il numero esatto nessuno, neppure il re in persona lo sa" ma, "tutti soldati sceltissimi", pare arrivarono in 18.000, con 150 navi e "600 cavalli di razza da corsa" e "l'apparecchiatura bellica", un migliaio di "macchine da guerra." Per due settimane razziarono le campagne, dove "coloro che hanno dato subito retta alle voci si sono rifugiati con i loro beni in luoghi più sicuri."
 
Giovanni Albino Lucano, nel successivo "De Bello Hydruntino" (1589), spiega così quel preambolo: tra "gli sventurati abitanti" i più tremebondi "si allontanavano in massa (...) non più sorretti da alcuna speranza, lasciando in balìa del vincitore i beni, i figli, le case, preoccupati solo di trovare una via di scampo" mentre quelli rimasti furono fatti prigionieri e mandati dritti a Istanbul.
 
Meno bene finì il cavaliere Giulio Antonio Acquaviva che, in timorosa attesa dell'attacco alla città, decise una sortita notturna con duecento suoi prodi, inizialmente felice. Poi "per avidità di strage" venne accerchiato e sopraffatto e successe che ritornarono il suo cavallo e la sua armatura, ancorché senza capo. Da lì nacque la leggenda del "cavaliere senza testa", il cui fantasma giurano veder aggirarsi ancora oggi nel leccese, le calde notti estive. 
 
Infine, il 12 agosto, toccò alla città. Ne fece le spese dapprima l'arci-vescovo. Per Ilarione "è rimasto a tal punto instupidito dal terrore" che gli si rizzarono le chiome "e neppure dopo (...) è riuscito ad esprimere una parola": "i più dicono che sia stato squartato." Poi toccò alle donne, specie "le vergini, con le vesti sollevate al di sopra delle natiche e del pube e legate alle reni fino all'orlo (...) vergognosamente esposte alla libidine dei Turchi." Quindi rotolarono, mozzate, "mille teste di Cristiani" e pure il "condottiero degli Otrantini" Francesco Zurlo (che rifiutò qualsiasi resa, per l'imperitura gloria dei pochi valorosi combattenti) finì "tagliato in due parti." Il Lucano conferma "indicibili violenze" perpetrate "alla maniera delle bestie, su innocenti fanciulli e fanciulle" e il terrore nei pacifici idruntini che, tra loro, "nessuno osava combattere (...) ma tutti presi dalla disperazione, tendendo le mani giunte alla maniera delle donne, non chiedevano altro che l'incolumità."
 
Ai Turchi finirono centomila sesterzi d'oro di bottino (ventimila del vescovo) e c'è chi - riporta Ilarione - pure pensò: "la città ha meritato la strage subìta ed è stata perduta dalla sua stessa avarizia."
 
Lucano rammenta invece come - quando finalmente i Turchi vennero scacciati - "moltissime ragazze pugliesi, che in due anni avevano facilmente appreso la religione e la lingua barbara, vengono nascoste nelle imbarcazioni." Pure il "salvatore" Alfonso, figlio di Ferdinando d'Aragona, alla fine, accolse i Turchi più assassini tra le fila del proprio esercito. Quantomeno, ciò ricordano i resoconti cronologicamente più vicini a quella guerra. 

L'agiografìa divenuta main-stream si baserà invece su quanto scrive - nel 1583 - l'abate Giovanni Marziano: sugli 800 e più cristiani arringati dal "prete Moplesi" che li sollecitò affinché "riconosciuto l'herror vostro, habbiate ad accostarvi alla fede del nostro Maumeth."

E sul cristiano Antonio Primaldo che "incominciò a parlare e dire" a nome degli altri "Vi priego tutti insieme vogliamo accettare questa morte" finendo decapitato sul vicino colle detto della Minerva e "il cui busto, per opera di Dio, rimase in su ritto (...) E ancora che il Bassà operasse ogni suo sforzo a fare che cadesse con altri corpi a terra, non ci bastorno tutte le forze di Turchi, essendo tenuto detto corpo ritto dalle mani di Dio."

Scena che Carmelo Bene, nel romanzo "Nostra Signora dei Turchi" (I stesura: 1964; I ed.: 1966), immagina abitata da "coloni inturbantati" che "mieterono spighe d'oro ingemmate di cinabro, impazziti all'incanto di quella miniera di fede." Quelle 813 anime innocenti occuparono l'immaginario cattolico durante un lungo processo di beatificazione, tra il 1539 e il 1771, e sino ad oggi.

(...)

"Siete qui, non per spiegare quello che faccio, ma per dire agli spettatori che non c’è niente da capire. Che non possono capire. Uno solo avrebbe potuto capire quello che faccio (...) È Stalin! Perché lui faceva con voi, popolo russo, la stessa cosa che io sto facendo: condurvi dove meritate di andare: al nulla, al vuoto. Come diceva san Giovanni della Croce, non c’è che un fine: Nada! Nada! Nada!"
Carmelo Bene
(da: Camille Dumoulié, "Carmelo Bene o lo splendore del vuoto")

(...)

"Nostra Signora dei Turchi" è una stella che rifulge, impensabile oggi: impararla alle classi elementari, dobbiamo. Perché (nonostante i colti rimandi) è libertà brada, qualità cristallina, inattuale, ineguagliabile. Posata sul baratro di un futuro che avrebbe prodotto troppo (poesia, film, musica, arte e quant'altro) eppure mai più un "nulla" così, in caduta libera dal "Turco che organizza." 

 

 

Pubblicato sul numero di novembre 2020 di Blow Up