Luca D. Majer
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Un articolo sull'impatto sul canto degli uccelli del lockdown Covid.

1st Unitarian Church, Louisville, KY (SA)

 

 

CONTRABANDA -

Rumore e il canto d’uccelli

 

 

Con il Covid chi analizza le interazioni tra quegli incresciosi animali che siamo noi e l’ambiente ha avuto un’occasione di studio (si spera) unica, grazie ai 4,5 miliardi di persone in confinamento domiciliare (dato: aprile 2020) e la riduzione di attività conflittuali con l’ambiente che ciò ha comportato.

 

Un calo del 17% delle emissioni di CO2 (nei primi mesi di lockdown) si è associato ad altri temporanei aspetti positivi, come attività procreative animali facilitate dall’assenza dell’uomo (pare che ad es. la testuggine indiana di tipo “Olive Ridley” sia riuscita a salvarsi dall’estinzione) o la riduzione delle attività di  deforestazione o di pesca e caccia, il miglioramento della qualità dell’acqua di falda, e centinaia di altri successi “verdi”.

 

Ci sono stati pure effetti negativi, come l’aumento del bracconaggio e la pesca illegale, meno introiti turistici nei parchi naturali con effetti negativi per la conservazione degli stessi, o la crescita di parassiti (es. l’invasione di locuste nello Yemen).

 

E la moltiplicazione biblica di plastica mono-uso (mascherine, guanti, tute, etc.), alla faccia di Greta “Evian” Thunberg. Il saldo è positivo? Dicono di sì, per l’ambiente nel suo complesso. Tralasciando gli effetti sugli umani, che in quanto carnefici… beh, è il karma, baby.

 

Intanto, in aprile, nella Bay-Area (quando sul Golden Gate Bridge, passavano tante auto quanto nel 1954) c’è chi ha misurato gli effetti del lockdown sul canto degli uccelli in alcune zone urbane ed extra urbane di SF scoprendo un mondo di differenze.

 

Con una diminuzione del rumore di 7,4dB in città e 3,6dB in campagna, gli uccellini hanno accelerato i bpm, diminuito (di un terzo) il volume ed emesso note in media 162Hz più basse dell’usuale (in città; in campagna ‘solo’ 40Hz in meno), ampliando così l’estensione dei loro gorgheggi amorosi e territoriali, rendendoli più melodiosi ed efficaci.

 

Senza volerlo il lockdown è stato un esempio riuscito di “ecologia acustica”, una disciplina a cui, non a caso, alcuni musicisti (l’amato Ivor Cutler un caso) hanno dedicato non poche attenzioni. 

 

La natura prende subito il controllo, appena l’uomo si leva di torno” ha commentato al riguardo la responsabile dello studio, l’esperta di comunicazione animale Elizabeth Derryberry. Che ha scoperto pure come gli uccelli cittadini (messi di colpo in concorrenza con altri uccelli della suburbia, per via dell’aria silenziosa e pulita che trasmetteva meglio i cinguettii) siano risultati più competitivi e alla fine vincenti su quelli di periferia, cinguettatori più sommessi non abituati a competere con il rumore di auto e altri inquinanti acustici.

 

Anche noi soffriamo di questo rumore costante “del progresso” e - come degli uccellini - dobbiamo (ad es.) parlarci a voce più alta per coprire le auto che passano, o non udire molti suoni o addirittura pure limitare i nostri colloqui, come si fa in un ambiente rumoroso. O litigarci addosso.

 

Lo studio americano ha dimostrato come il passero “corona bianca” si sia adattato subito alla riduzione degli inquinanti sonori. La riduzione di rumore potrebbe in generale limitare la progressiva riduzione della biodiversità, animale e sociale. Lo studio ha insomma dimostrato che il suono può farci vivere da bruti. O beati. 

 

 

 

 

Pubblicato su Blow Up, novembre 2020.