Luca D. Majer
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Un pezzo su David Lama (1990-2019), roccia estrema e la musica


Pubblicato su BlowUp, febbraio 2020.

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La frase "Chi ha paura della morte, ha paura di vivere. Molto più importante è sapere cosa vuoi dalla vita" racchiude l'ethos di certo rock "estremo" e dei suoi miti. Ma non l'ha detta un Ozzie Osborne, bensì David Lama. Un tipo di persona ben diverso. (...)

 

Emilio Comici (1901-1940)

 

David Lama

 

via Comici Cima Grande di Lavaredo

 

Cerro Torre (ARG)

 

David Lama

 

David Lama sullo Lunag Ri

 

 

 
 
Studiai statistica sul manuale d’un tal Sadowski e quel nome m'è tornato in mente riguardando la memorabile stagione '94/'95 di Alberto Tomba: quando, a colpi di reni e centesimi di secondo, mandò al paesino di Fan Kulo le statistiche.
 
Le successive Coppe del Mondo di sci, in qualche modo, rimisero d'accordo Tomba e Sadowski, ma fu una questione più mentale che fisica.
 
Per dire che gli sport estremi, o l'estremo tout-court, dimostrano che è la testa a condurre il corpo: spesso in cose che paiono impossibili solo perché siamo noi a crederle tali. Altre volte, invece, il corpo non ce la fa e… si separa.
 
Questo, in fondo, è l'ethos di certo rock eroico e dei suoi miti: delle OD psicoattive, di musica ai confini della realtà sonora, di vite randagie.
 
Lo sintetizza la frase "Chi ha paura della morte, ha paura di vivere. Molto più importante è sapere cosa vuoi dalla vita" che però… non l'ha detta Ozzie Osborne o Cobain, ma David Lama.
 
Uno per certuni dalla vita eroica, per altri un auto-lesionista, un obnubilato 'rocker'. Nel senso però del rock che Lama frequentava: la roccia che arrampichi.
 
In Patagonia, da eroe, salì in free style il Cerro Torre, un liscio pinnacolo di 1500 metri in granito con un colbacco di neve ghiacciata sulla cima. E nel '18 (in solitaria!) "aprì" il nepalese Lunag Ri, un'altra parete dritta con in cima una lama coperta di neve ghiacciata.
 
Poi nell'aprile '19, scendendo con due compagni - alle due di notte - da una delle più difficili vie canadesi (l'M16 dello Howse Peak), venne ucciso da una valanga. 28 anni, di cui venti passati a scalare e inforcare records.
 
Tra gli anonimi messaggi di condoglianze sul suo sito (david-lama.com), ho trovato una frase del Bhagavad Gita: "Egli non è nato né mai muore. Non-nato, eterno, ininterrotto, antico, non verrà ucciso quando il corpo viene ucciso.
 
Non è un caso. Quando tocchi l'eccesso, è il caso del digiuno del fachiro o di una notte all'addiaccio nella "zona della morte" (sopra i 7000m. di altitudine, quando le cellule muoiono ma non riescono più a nascere), subentrano stati alterati di coscienza che ti mettono a contatto con le tue “vere” potenzialità.
 
E' quello che provano musicisti estatici come Abida Parveen. O Elisabeth Revol, la francese che sul Nanga Parbat - allucinata - ‘vide’ una vecchia toglierle gli scarponi, in realtà se li tolse e si congelò i piedi. E’ quella "forza" che Leonardo Emilio Comici diceva impossessarsi di lui quand'era in parete.
 
Emilio (negli anni 1930) suonava il piano e la chitarra ma soprattutto "apriva vie" convinto di quant'è "bello assai arrampicare tutto libero su una parete che strapiomba, veder fra mezzo alle tue gambe quel vuoto e sentire di poterlo dominare con le sole tue forze. Quando arrampico da solo guardo sempre giù per inebriarmi del vuoto, e canto dalla gioia."
 
Bello, ardito (ed ambìto dalle ricche villeggianti di Cortina), nel '33 aprì la via Comici-Dimai sulla Cima Grande di Lavaredo, invertendo la logica down/top dell'alpinismo: cercando i percorsi "che percorrerebbe una goccia d'acqua lasciata cadere dalla cima" e non gli appigli più facili. (La stessa creatività di Jimi quando vide nel larsen un amico, non uno scherzo fisico da evitare.)
 
D’allora Comici mutò il Dolomio dalla formula chimica CaMg(CO3)2 in materia che ci rappresenta: "la creazione si è imposta alla materia, la via è diventata proiezione dell'io sulla roccia." La naturale verticalità divenne espressione (poetica) che virava la conquista in territorio estremo. Eppure la morte arrivò, nel '40, per un cordino che gli si ruppe in una banale parete/palestra. 
 
Lama replicò il pionierismo di Comici su cime impossibili, certo che l'alpinismo "ha qualcosa in comune con le arti. Prendere (…) un'idea che esiste solo nella tua testa... disegni una linea su una montagna e una volta che sei salito per quella linea, è diventata realtà." Oggi sulla roccia (come nel rock), ahinoi, è arrivata la gentrification.
 
Sull'Everest i fasci di corde abbandonate ricordano che alla creatività s'è sostituita la ripetizione e una trasmissione della BBC l'hanno intitolata "What's it like to queue on Everest?" perché persino sul monte più alto del mondo ti capita di far la fila in attesa, come all'ufficio postale, e la vetta puoi godertela per due minuti, con il "turismo-estremo-di-massa" che ti spintona alle spalle. Una gentrification - quella dell'estremo sportivo - indissolubilmente legata alla musica.
 
Lo vedi dagli "Annual Powder Awards", una sorta di serata degli Oscar per chi eccelle nello sci estremo: discese scavezzacollo ("best line"), salti spericolati ("best air"),"sciate urbane" ("best jib"). E dietro ai filmati, a pompare energia, ecco musica-plastica, tappa-buco, già-sentita: i Rival Consoles, o gli Spindrift, pure le entusiasmanti pomate-elettriche dei Kasabian; comunque una musica intrusiva, da manipolazione sonora. Una pappa ritmica che trasforma tripli salti mortali su neve fresca o discese verticali in “spettacolo eroico per tutti."
 
Solo lo spot di "High Fives", un'associazione per paraplegici, lascia intravedere le indicibili scorie di questo “estremo di massa”: l'inevitabile incontro tra Sadowski e von Masoch, tra Comici e i rocciatori pop star. Un mondo spiegato dai genitori di "Hoji" Hjorleifson, uno di questi “pazzi con sponsor”, in 4 parole: “So far so good."