Da qualche mese vivo in un altro mondo, fatto di film italiani d’amore strettamente a cavallo tra era fascista e primo dopoguerra. Sta di fatto che ogni tanto risalgo a galla per prendere una boccata d’aria, e ci scappa qualche filmetto degli anni ’60 o ’70.
[Perloppiù la colonna sonora, finché sto sui film d’amore è tutta una piacevole sviolinata. Musica di stampo melodico italiano, arrangiata per orchestra, qui e là un foxtrot o un ritmo latino, meravigliose atmosfere fumose da tabarin, il folk che diventa un Leit-motif in “Gelosia” del ‘50, e soprattutto melodie con voci acute o Rabagliati che cantano d’amori corrisposti. (...) Quale piacere sommo, la musica orchestrale italiana tra ’40 e ’50. Roba nostra.]
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Oppure quest’intervista con Petri su “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” del ’71. Dove Petri, uomo intelligente e dalle lunghe antenne, ripudia il cinema “d’elite” notando come “l’elite” faccia parte della classe dominante e che quindi fare un film “d’elite” che cerchi di spostare una massa di opinione (come cercava di fare il suo cinema) è assolutamente inutile.
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Applicando il ragionamento di Petri alla musica mi spiego perché, negli ultimi anni, ho scritto su ABBA, Raffaella Carrà, i neo melodici napoletani, la trap italiana, Romina e Al Bano o Dosseh e Rovazzi. Gente che smuove l’opinione pubblica, locale o internazionale.
E questo fanno per... delle due l’una: o perché - carpiti dal noumeno - esprimono l’Inesprimibile della mente umana e smuovono corde, accordi, ingranaggi e sentimenti dentro tutti noi che ci fanno andare in catalessi, parziale o totale.
Oppure in quanto spinti da un apparato promozionale che li fa apparire alla sommità della superficie mediatica, in tv, rete o su carta, e come tali oggetti di desiderio. La seconda leva premia sulla prima, ed entrambe sottostanno alla selezione che ciascuno di noi opera seguendo le proprie emozioni presenti o passate associate a tale musica.
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Sotto il belletto, le canzoni sono davvero messaggi che diventano obtorto collo ingegneria sociale, “esempi da imitare”: aspiranti suicidi, di/sperati senza meta per deserti fisici e mentali. E violenza, misoginia, odio razziale.
E democristiani del tipo “chi s’accontenta gode”. Che negli anni ‘Venti (molto “roaring Twenties”!) è un’attitudine che si declina in molti gusti. Dal consumo di obnubilanti mentali (Sfera Ebbasta o tutta la drill) alla versione ‘clean’ e suo apparente opposto: il Rovazzi del “non pensare”.
O musica da party dove, drink alla mano, sputare sulla propria esistenza. Come faceva quel “che vita di merda!” urlato nella canzone Alfonso della Levante, uno degli imi (ma forse inni) degli anni ’10.
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Pubblicato su Blow Up, marzo 2022