Luca D. Majer
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Frammenti di una Contrabanda sull'utilizzo da parte di Elon Musk dello slogan (e titolo di canzone) "Power To The People" di John Lennon per pubblicizzare la (propria) nuova gestione di Twitter (da là in poi "X") e l'immediato ritorno di Kanye "Ye" West sotto i riflettori con un tweet inquietante.

 

Statua di cera (ora asportata) - M.me Tussaud's, Londra

 
 

challenge

 

 

Per chi bazzica Twitter, il social per così dire “intellettuale”, la notizia del giorno è il passaggio del pacchetto di controllo di questo gigante dell’informazione di massa a Elon Musk. 
 

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Elon è un meme globale. In Twitter è entrato con fare da “parùn” lombardo in versione verde, tecnocrate ma iconoclasta. Ha così liberato molti accounts di “cinguettatori” silenziati dalla precedente gestione. Tra questi un cantante.
 
Non uno qualsiasi: uno top, di cui Contrabanda s’è già interessata perché è uno di quei crocicchi tra arte, affari e culto. È Kanye West, oggi più semplicemente Ye (pronuncia: “ièi.”)
 
Il quale, due soli giorni dopo la ‘liberazione’, invia un tweet del tenore “Stasera sono un po’ addormentato ma domani entrerò in stato d’allerta giallo verso gli ebrei” ben sapendo cosa avrebbe generato. E di fatto il tweet è girato attorno al mondo come un colpo di cannone. Che, col suo rinculo, ha fatto perdere a Kanye i contratti Adidas, Balenciaga e, si dice, buona parte delle altre collaborazioni commerciali costruite negli anni. Giorni dopo anche gli inserzionisti di Twitter abbandonano in massa e Musk ‘cinguetta’ sconsolato: m’è caduto il fatturato pubblicitario.
 
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Restando al macro-livello, questa faccenda è per certi versi esemplare. Da un lato ci dice che Twitter e i socials in genere sono potenzialmente (e non solo) un’arma di distruzione di massa. 
 
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Poi, Twitter è il surrogato digitale delle discussioni politiche d’un tempo.
 
È un “caffè letterario” ridotto alla legge del più forte, economicamente. Perché l’opinione pubblica, che Jürgen Habermas considerava nata proprio nei Caffè del ‘700, è oggi riprodotta in una sua grottesca parodia tecnica: il “buzz”, le “tendenze” diventano un assordante rumore informativo di fondo gestito tramite battaglioni virtuali di famigerati “twitter bots.” Software vengono programmati per esprimere certe idee, siano esse economiche, culturali o politiche in quantità industriale. 
 
Ciò crea uno spazio congestionato in cui l’insulto greve o la supercazzola sembrano le uniche armi per “forare” la soglia d’attenzione. Gli internauti in Rete che sperano di trovare il bandolo della matassa infodemica nel loro smart-phone, così vengono analizzati, poi ridotti a sotto-gruppi demografici e bersagliati da irresistibili messaggi su misura. 
 
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Il successo economico di Ye è la base dell’enorme attrazione emulativa che esercita presso certo mondo nero-americano; mentre il suo fare guappesco ovvero il vizio “di non saper tener chiusa la fottuta bocca” (per dirla con 50 Cent) sono il pre-requisito di ogni narrativa ribelle. Oggi sfoggiati come segno di emancipazione nera, sorta di duplice omaggio alle Black Panther (delle quali il padre era membro) e alla passerella di Soul Train, sfilacciato da nevrosi post-capitaliste.
 
John Lennon, quando volle capitanare un’innocentissima campagna per la pace, capì presto quanto temuta fosse la propria figura pubblica.
 
Come Lennon e più di questo, Ye s’è mostrato versato nell’usare la sua persona pubblica in scuffie politiche, costate pubblico e danaro. Lennoniane come l’amore universale, o la pace oltre il mondo materiale. Alle quali Ye ne ha aggiunte altrettante uguali e contrarie.
 
Uno sregolato cinema di rabbie violente, depressioni, sfoghi, logorree e momenti di auto-incensamento totale. Forse si sente un Gesù nel tempio. O forse è il poster-boy della personalità pubblica dei VentiVenti che ci meritiamo: pieno di difetti ma specchio di una società “sull’orlo di una crisi di nervi,” o forse già dentro. 
 
 
Pubblicato su Blow Up, numero Dicembre 2022