Sono demoni oppure convenienti modi di bere un caffè, le capsule o cialde?
E poi: all'ambiente chi ci pensa?
Tratto da Comunicaffè, 25 gennaio 2019
MILANO – Riparte, dopo la pausa per il Sigep, il dibattito sulle capsule aperto dall’intervento di Alberto Trabatti. Questa volta prende la parola Luca Majer, riconosciuto esperto e protagonista del settore in esame. Che ha una visione chiara anche se complessa. Un punto di non ritorno?
CAPSULE O DEMONI?
di Luca Majer
Il signor Alberto Trabatti ha toccato due temi davvero importanti: sicurezza alimentare e ambiente. Non sono alternativi: sono due facce della stessa medaglia.Il tema che li riunisce è semplice ma sembra complesso, specie quando discusso in una piattaforma di “addetti ai lavori” dalle differenti agende.
È stato riassunto (nel 1954) dal filosofo e teologo Jacques Ellul parlando di Tecnica (“tecnologia” è invece il “discorso sulla tecnica”).
Semplifico il suo pensiero: “Tutto il progresso si paga” e “ogni progresso tecnico comporta un certo numero d’effetti imprevedibili.”
Gli esempi sono infiniti: i campi elettromagnetici (dal 2011 inseriti dalla W.H.O. – al pari di DDT e piombo – tra sostanze cancerogene del gruppo 2B), glifosato (il pesticida trovato nel 2016 dall’Umweltinstitut München in 14 tra le birre più vendute in Germania), gli ftalati come DBP o BBP, per tacere su tecniche non-apparenti (come i socials, che interagiscono con il rilascio di dopamina e creano dipendenza), etc.
Come ha detto qualcuno il mondo va avanti, ma a volte seguirlo a testa bassa non è un grande affare: ogni comodità (incluso il pagar poco una cosa!) ha il suo prezzo.
Sull’inquinamento ambientale, un altro problema dato dallo sviluppo tecnico, ne scrissi nel lontano 2010 su Comunicaffè nel dare il benvenuto alle compatibili Nespresso “compostabili”.
Vale anche oggi: l’attuale sistema mondiale è insostenibile.
Parlavo all’epoca degli “agnelli aereo-trasportati dalla Nuova Zelanda” ma un’auto di 1.800 chili usata per accompagnare il figlio a scuola (e con l’energia del motore che serve al 70% non per muoversi ma per… scaldare) è per certi versi una follìa.
E su scaldare l’aria mi fermo qui… perché sono del settore.
Allora?
L’esempio virtuoso del più grande di tutti, la Nestlé
Allora bisogna dare buoni esempi e dieci giorni fa è proprio la prima azienda del caffè (e alimentare) mondiale ad averlo dato, premettendo che “lo sfaccettato problema dell’inquinamento plastico richiede una visione olistica e uno sforzo bene orchestrato.”
Il loro CEO s’è poi impegnato a iniziare a dismettere 7 categorie di plastiche “per le quali è improbabile che venga creato un sistema di riciclaggio”, impegnandosi a perseguire il riciclaggio ovunque possibile e ri-affermando la fiducia “nel valore di materiali ricilabili e materie a base di carta e polimeri biodegradabili, in particolare dove non esistono infrastrutture di riciclaggio.”
L’impegno ad eliminare plastiche difficilmente o per niente riciclabili è unito all’impegno di sviluppare PP ri-utilizzabile a fini alimentari.
Indizi di un cambiamento radicale? Certamente mandando tutto il proprio personale (dai membri del Consiglio di amministraione agli operai) a raccogliere plastica usata nei mari e nei laghi del mondo, in onore del World Ocean Day (8/6/19), Nestlé manda un forte segnale.
Sarà promozione? Comunque ci sono proposte e uno scopo, che condivido: andare oltre il sistema attuale con l’obiettivo di “cessare il rilascio di plastica nell’ambiente.”
Un trend che in generale non sarà indolore per i consumatori, chiaramente chiamati a fare la loro. E neppure per gli addetti ai lavori.
Prendete ad esempio un materiale ‘barriera’ sempre più popolare come l’EVOH che, per citare uno studio del 2015 del COTREP francese (Comité Technique Pour Le Recyclage des Emballages Plastiques), qualora presente oltre la soglia del 5% nel processo di riciclo di imballaggi in PP, è capace di “disgregare” tale processo.
Finisco con il grande Frasi citato da Trabatti: fu lui che una volta mi parlò del “bau-bau” – come lui chiamava alcune torrefazioni (ne aveva in mente una specifica, lui) che praticano politiche di bassi prezzi, comodati a macchia d’olio e caffè mediocri.
Mi diceva di considerarlo un modo che faceva dimenticare ai bar la ‘santità’ (o meglio il lato alchemico, come diceva lui) della preparazione del caffè in nome del risparmio (di soldi e piacere).
Per me questo è un altro effetto negativo di questi tempi moderni senza tempo per i rituali del piacere.
Dalla loro le capsule, con piccole macchine (per massa e consumo) e con 0,35€ a caffè – aggiornano certamente la ritualità del culto, ma in molti casi fanno bere un caffè migliore (per motivi anche tecnici) di quello di macchine più costose, più avide di energia, e – non raramente – alimentate con origini ingloriose e magari pure chicchi neri.
FRASI NON LE AMAVA LE CAPSULE, VERO, MA UNA VOLTA RIUSCII A FARGLI METTERE E TESTARE UN SUO CAFFÈ NELLE NOSTRE CAPSULE CHE (PER QUESTIONI VERE, MA LUNGHE DA SPIEGARE) ESTRAGGONO MOLTO BENE.
E ricordo ancora il complimento: mi dicono fosse cosa rara per lui, di certo memorabile per me.
Per dire, insomma, che neppure per lui tutte le capsule eran demoni!
Luca Majer
www.tutto.eu