Un breve commento sulla vicenda della pubblicità Nespresso sottoposta al Gran Giurì della pubblicità in dicembre 2009.
Nel bene o nel male, la chiusura dei conti di questo primo decennio del XXI secolo ci ha costretti ad imparare termini e concetti che sinora ci erano stati risparmiati. Abbiamo appreso l’esistenza – ad esempio – di “ripresa economica senza nuovi posti di lavoro”; oppure di “economia zombie“ finanziata da “banche zombie”, senza tacere della “cleptocrazia”, un neologismo di moda negli Usa che, per capacità di sorprendere, è secondo solo alla “pornocrazia papale” che resse le sorti di Roma un migliaio d’anni fa o giù di lì.
Gli addetti ai lavori del caffè, per distrarsi da tanto bailamme, potevano rivolgere per una volta le proprie attenzioni al Gran Giurì della pubblicità. In particolare al ricorso di Lavazza presentato in dicembre per fare cessare lo spot televisivo di Nespresso ambientato in paradiso. Un ricorso il cui esito, nel nostro piccolo mondo, ha tenuto un po’ tutti con il fiato sospeso.
Da un lato spiaceva pensare che quegli spot Nespresso (che emanano qualità come un buon caffè emana composti aromatici) potessero venire oscurati. Il regista è Robert Rodriguez, uno che al suo esordio (e con 7000 dollari: il budget che Hollywood normalmente destina, per dire, all’autista della star di turno) aveva prodotto “El Mariachi” un film esilarante, creativo e di successo. Poi George Clooney e John Malkovich illuminano d’immenso un set ineccepibile – completato, nel ruolo della commessa della boutique, da Helen Lindes (non una bellezza chiunque: Miss Spagna 2000). Insomma una dimostrazione a tutto tondo che arte, intrattenimento e commercio a volte sono uni e trini.
Per le tre versioni dello spot (a chi non le ha viste consiglio di vederle su YouTube) Rodriguez ha utilizzato l’escamotage dei finali alternativi. Nel primo finale Clooney dà all’ammiccante San Pietro/Malkovich la propria macchinetta tosto riguadagnando la terra (dove immediatamente rientra nella boutique Nespresso); in una seconda versione Clooney si trova ad annoiarsi in paradiso per via del suo caparbio attaccamento verso la macchinetta. E infine nella terza e forse più esilarante versione Clooney conquista la terra solo dopo un intenso mercanteggiare a base di tentativi di corruzione del santo Pietro incentrati su un’automobile (“Ho una Porsche… è nera”) e sulla famosa Oleandra, la villa che Clooney possiede sulle sponde del Lago di Como. Ovviamente, comunque sia, è la macchinetta Nespresso il metodo di corruzione più efficace, nel paradiso Nespresso.
Dall’altro lato il ricorso al Giurì incuriosiva per via di certe similarità tra gli spot Lavazza e questi di Robert Rodriguez: anche nel paradiso Nespresso tutto è candidamente bianco, e vizi e frizzi “nell’alto dei cieli” sono uguali a quelli della terrena “valle di lacrime” – e ovviamente in entrambi c’è tanto caffè, in capsule.
La curiosità era legata anche al fatto che tutti noi ricordavamo quanto Lavazza tenesse ad essere l’unico “fornitore ufficiale” del paradiso (almeno nell’etere televisivo italiano): lo sapevamo sin da quando Lavazza ricorse al Giurì per via di uno spot della Segafredo-Zanetti ambientato all’inferno, protagonisti Renzo Arbore e diavoli che si cimentavano in una divertente parodia di Hellzapoppin’. Lavazza non ottenne soddisfazione, ma poiché da lì a poco Segafredo-Zanetti cessò comunque di mandare in onda il proprio spot, la cosa sembrò un successo per Lavazza: sembrava praticamente sancito che “va’ all’inferno” fosse un suggerimento (pubblicitariamente parlando) che nessun torrefattore poteva darci – e ciò perché un suo collega aveva già l’esclusiva del mandarci in paradiso.
Ora il Giurì ha parlato rifiutando nuovamente il ricorso di Lavazza e posso supporre che abbia così giudicato facendo propria la tesi Nespresso: che il loro paradiso è un paradiso metaforico, che poco ha a vedere con quello Lavazza. A me, che non sono uomo di diritto, sfugge un po’ il tutto e quindi mi astengo dal commentare ulteriormente il verdetto.
Personalmente, tra l’altro, più che Nespresso m’interessa la sua controllante Nestlè: la quale – da oligopsonista del mercato globale del caffè – ha accettato di mettersi, per così dire, allo stesso livello paradisiaco di Lavazza, seppure con uno spot che parla però di un altro mondo, in un’altra lingua ed anzi sembra quasi parlare a più livelli. Sulla superficie i temi sono chiari: 1. Porsche e villa sul lago di Como e persino le nostre vite non valgono una macchinetta Nespresso; 2. il paradiso può attendere, se in terra c’è una boutique Nespresso; 3. qualora proprio dovessimo finirci in paradiso (che noia!) nonostante il caffè sia buono meglio mantenere i costumi terreni ed equipaggiarsi di due veline bionde ai fianchi, a mo’ di comparse (altrettanto poco loquaci di quelle degli spot Lavazza).
Un paio di metri sotto la superficie di questo mondo materialistico, Nestlè (la cui sola Nespresso ha un fatturato che ha superato ormai quello di Lavazza) a modo suo ricorda a tutti che il gotha degli oligopsonisti del caffè non è un luogo che ha immeritatamente conquistato. Si permette di ricordarlo anche al maggiore torrefattore italiano in valore – in volumi il primo c’è chi indica invece la Segafredo-Zanetti. Una Lavazza che alcuni ritengono (per via di questa leadership italiana) anche il principale responsabile del fatto che il mondo venga oggi iniziato all’espresso (o alle sue versioni internazionali) principalmente da svizzeri romandi e da americani di Seattle, piuttosto che da italiani. Anche in India, uno dei mercati mondiali con maggiori potenzialità di crescita, è la catena (indiana) di coffee-shops Café CoffeeDay a vendere più caffè espressi agli indiani, non Barista (oggi di proprietà Lavazza).
Noi, osservando ammirati queste conversazioni titaniche che si svolgono sullo schermo di casa nostra sotto ammiccanti parvenze sexy ed ironiche, non possiamo stupirci se toccano corde sensibili a Torino. George Clooney parlerà pure della sua Porsche nera e della villa a Laglio, ma il messaggio sembra quasi un altro. Sembra quasi di sentir dire tra le righe, con lento accento francese: “You want to play, mon ami? OK, zen: letz play”.
(Pubblicato originariamente su Comunicaffè, 19 gennaio 2010)