Frammenti dell'intervista pubblicata su Comunicaffè, 9 marzo 2015 con il titolo "Capsule - Tutti i segreti dall'interno". Alcuni frammenti dell'intervista sono riproposti qui sotto.
(...)
Parlando di capsule, a parità di qualità il porzionato costa molto caro, anche 100 € il kg: è uno dei pochi casi nei quali la quantità non ha ridotto i prezzi.
La fila di gente che compra il caffè a 70€ al kilo in certe "boutiques" - con lo scontrino in mano, come alla posta - è la perfetta sintesi di prezzo remunerativo e consumatore contento. Un esempio di dialogo win-win.
Altro è vedere come si arriva a questo dialogo: buoni caffè, ma ce n'è di migliori, tecnica di preparazione fuori dal canone, una muraglia di brevetti (c'è chi dice utilizzati contro la concorrenza) e marketing pressante che fa leva su stili di vita emulativi e prezzi delle macchine sovvenzionati. Un insieme che alza le barriere all'entrata.
A fronte di ciò, i medi torrefattori progressivamente perdono terreno e le leve del gioco migrano dal "buon caffè" verso capacità finanziaria e di R&S, sinergie distributive, market intelligence e economie di scala. E' la logica di quella che chiamo "sovrastruttura da terziario avanzato": per divenire visibile sul "radar" del consumatore odierno si deve continuamente alimentare marketing e ricerca. Che bruciano milioni di Euro come fosse paglia, dando però ritorni solo nel medio o lungo termine.
Allora non c'è scampo?
Mondialmente il caffè cresce bene, più di quanto 6 o 7 anni fa si credeva potesse crescere. E' in fondo la bevanda del capitalismo e i BRIC dimostrano nuovamente - casomai ce ne fosse stato bisogno - la correlazione positiva tra grado d'industrializzazione e consumo pro-capite di caffè. Quindi, ovviamente, le nicchie possono essere una risposta vincente. Il problema però è che ospitano una parte sempre maggiore di quell'ingombrato 11% (per rimanere nelle capsule) di cui si diceva. [cfr. intervista completa su Comunicaffe.]
E il vero discorso di fondo obbligherebbe ad una prospettiva ancora più ampia: prendiamo - di questa - l'aspetto più noto ai torrefattori, l'altalena dei prezzi di Borsa. Nel petrolio - a spanne - la produzione annua gira "sulla carta" ogni giorno, nel caffè circa in un mese. Poichè è la volatilità che fa guadagnare in finanza, i prezzi di Borsa del caffè sembrano dirci che "realtà di mercato" equivale a un imprevedibile casinò royale. La realtà è che - lo ha detto anche Schultz di Starbucks - il prezzo dipende più da chi non toccherà mai un chicco di verde nella sua vita che da madre Natura. Per le "truppe" (chi vive di caffè) restano la Borsa e le siccità, le pioggie abbondanti e gli stratagemmi. E' sintomatico - oltre che triste - che gli effetti di questo potere, che opera impunito, non si fermino a una gabella per le nostre tasche, ma portino al suicidio economico o reale migliaia di famiglie di coltivatori in India o Messico.
(...)
Come va, in generale il settore vending nel quale la preparazione del caffè rappresenta larga parte?
Si sa che il vending, avendo clienti in tutti i settori, "copia" l'andamento dell'economia. In più svariate operazioni di M&A avvenute tra '90 e '00 hanno creato indebitamenti importanti che - in alcune aziende - richiederanno lustri per venire smaltiti. Nello specifico nel settore dei "gestori" non vedo mutamenti del modello di business tradizionale, da anni 1970/2000, salvo le riduzioni di personale o le ri-organizzazioni. E' probabile che il problema andrà risolto, prima o poi, andando aldilà della semplice logica cost-cutting.
Per i costruttori del vending la situazione è leggermente differente. Il loro mercato tradizionale, quello della d.a., ha numeri che sono correlati a quelli (mediocri) dei gestori. Esiste però il campo "professionale" delle "super-automatiche", con margini e crescita importanti, dal quale i costruttori possono attingere per mantenere buoni tassi di crescita.
C'è infine il "macro-cosmo" che attornia il vending. Lo osservai da vicino quando - come vice-presidente EVA - lavorai a Bruxelles nella fase dell'introduzione dell'Euro: nessun aiuto strutturale per gli straordinari costi che il vending dovette sopportare in quanto uno dei pochi business a vivere sulle monete. Fu così che venni introdotto al contesto che - per così dire - "accerchiava" il vending.
Una conferma arrivò qualche anno dopo, con quella idea di impedire le merendine iper-caloriche nei d.a. delle scuole - prima in Francia e poi in altri paesi. Aldilà che la norma mise in evidenza la molle azione lobbistica portata avanti dall'EVA, sembrava che per una volta i legislatori avessero platealmente confuso la causa con l'effetto. La realtà è che una crociata simile non poteva nè può basarsi sulla stupidità. Leggere che persino Michelle Obama ha recentemente utilizzato il "vending sano" per la propria propaganda fa pensare che il vending sia preso come una sorta di valvola di spurgo.
E' un peccato che Lucio Pinetti ci abbia lasciato prematuramente, ora che sembrava finalmente che un italiano fosse diretto alla presidenza dell'EVA. Sono certo che avrebbe saputo essere incisivo, come sempre.