Luca D. Majer
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Il secondo atto sul lancio di capsule compatibili Nespresso.
L'articolo è stato pubblicato sul quotidiano del caffè Comunicaffè.com il 17 settembre 2010.

 

Da sx. in alto, senso orario: Danny Trejo ("Machete"), Edgardo Sogno, Jean-Paul Gaillard, capsula "L'OR", Orson Welles e Pier Paolo Pasolini sul set de "La ricotta", George Clooney ("Lyn Cassidy")

 

 

Nel clima caliente del 2010, quello della “austerity della classe media” a livello mondiale, per un italiano su due le vacanze estive più “alla moda” sono state a casa propria. Fortuna che si poteva seguire la “fucina esperienziale” del mondo (in rete), che generosamente ha ripagato tutti con ogni sorta di catastrofi naturali, drammi umani e altri sconvolgimenti – persino nel mondo del caffè.

 Ciudad Juarez (la città messicana al confine con gli USA) ha avuto il suo momento di fama in cronaca nera: gli spari erano tali e tanti che i proiettili letteralmente piovevano anche a El Paso, Texas, oltre il confine. Sparatorie alla “Machete”, il film lanciato quest’estate e firmato da Robert Rodriguez - il regista del trittico di spot Nespresso con Clooney e Malkovich in paradiso, qui impegnato in truculento film dalla prevedibile (con quel titolo!) trama. E forse per coincidenza o disegno del destino, mentre in Messico pioveva piombo (e qualcuno ha detto anche camion con le balene uccise dalla marea di petrolio del pozzo BP/Macondo, raccolte qui e là sulle coste della Louisiana) e il senõr Machete sciabolava sugli schermi americani, il cittadino onorario di Laglio George Clooney ha girato la continuazione del citato trittico. E, tra tutte le città dove girarlo (il tocco non è passato inosservato), l’ha girato proprio dove noi italiani abbiamo inventato l’espresso, a Milano.

Il regista della sequel era Grant Heslov, che aveva diretto Clooney in “The men who stare at goats” (“L’uomo che fissa le capre”). Conoscete? Film dal buffo slogan (“Niente capre, niente gloria”), Clooney vi impersonava Lyn Cassady – un militare americano punta di diamante di un programma speciale dell’esercito. Un programma così speciale che negli allenamenti Lyn – con la sola forza dello sguardo - uccideva una capra. Nel film! Veramente buffo. A meno riflettiate al fatto che la storia è ispirata ad un episodio assolutamente vero della storia bellica statunitense, capra morta inclusa.
 
Sta di fatto che neppure Clooney si è potuto permettere una lunga vacanza ed ha dovuto faticare in quel clima estivo milanese che fa scappare tutti i milanesi DOC ed in genere anche i turisti. Ha girato gli spot vicino all’Arco della Pace, un monumento del Cagnola originalmente pensato per Napoleone I e poi – dopo Waterloo – astutamente riciclato per gli austriaci, cioè quelli che avevano brigato per la sconfitta del Bonaparte. Succede.

“I tempi son cambiati“ (come cantava Bob Dylan) e oggi lo sguardo assassino non uccide quadrupedi. Diretto da un’impresa trans-nazionale sul cui impero non cala mai il sole, l’eroe Clooney seduce milioni di bevitori di caffè per attrarli irrimediabilmente verso una boutique Nespresso. E la boutique - come una volta si faceva con gli archi di trionfo per i grandi condottieri – viene creata abilmente dal nulla - in zona Sempione, Milano. Unica differenza è che questa celebrazione di trionfo è creata per essere distrutta e risorgere nella gloria digital-domestica degli schermi super HD.

Chi sembra passarsela male – oggi - non sono le capre, nè condottieri trionfali del digitale. Piuttosto la concorrenza Nespresso, tipo i “cloni di Clooney.” Ricordate? C’eravamo lasciati mesi fa con la previsione (puntalmente avveratasi) di una velenosa reazione legale di Nestlè contro chi aveva annunciato il lancio di capsule compatibili con le macchine Nespresso. Ad oggi le azioni promosse a difesa di Nespresso non hanno dato esito  e si saprà certamente qualcosa entro ottobre  – di fatto, però, l’entrata in scena dei legali di Vevey (tra il 15 e il 22 giugno) è stata impressionante: un reality show speculare alle apparizioni di George Clooney nel regno della finzione pubblicitaria.

Ce lo si aspettava, perchè non sarà Nestlè a permettere “di rompere le acque” del loro sistema brevettato; nessun stupore neppure per il timing dell’entrata in scena dei loro legali, avvenuta a cavallo di un seminario (21 giugno) indetto dal colosso di Vevey per i propri investitori.

Gaillard, il  presidente della ECC, uno dei due “clonatori” non è apparso colpito – anche perchè l’azione Nespresso riguarda Casino. Ha sardonicamente ringraziato Nestlè per la pubblicità insperata – che, con rapida stima, ha valutato di un valore di 20 milioni di franchi svizzeri - ed ha pure raccontato (sempre con ironia mista a savoir-faire) di quando - agli esterefatti commessi di un supermercato della catena Casino - impiegati della Nestlè si sono presentati, si sono qualificati ed hanno esatto acquistare duemila delle sue capsule. Ha poi stigmatizzato l’episodio delle persone (tra cui huissier e pure due legali Nestlè) che presso due fornitori di ECC avrebbero dovuto per conto del tribunale fare dei prelievi di apparecchi (che ECC non produce) e ai quali, per non tornare con le mani vuote, Gaillard avrebbe fatto regalo di 50 capsule. L’altro “clonatore”, Sara Lee, non ha avuto alcuna coreografica messa in scena: per lei una più secca pila di fogli, mittente il tribunale francese competente: contraffazione, secondo Nestlè.

Per ambedue le aziende la reazione svizzera, per quanto prevista, significa energie e danari – a conferma di come l’IP (il patrimonio brevettuale) sia ormai una delle armi concorrenziali più affilate, nel mondo del caffè. Presumibilmente queste accettàte legali contro i “cloni” rallenteranno - ma non bloccheranno - le capsule compatibili. Forse per questo Jean Paul Gaillard ha accusato Nestlè di “spionaggio industriale” ed ha ipotizzato – imperterrito, nel frattempo - che la ECC possa quotarsi in Borsa. Sara Lee è stata più parca, come stile impone tra veri concorrenti, osservando correttamente che le capsule “L’Or” sono diverse nel colore, forma e materiale. Il che non è poco, sia nel bene che nel male. Perchè l’immagine - nei consumi di massa – conta quasi quanto in politica.

Per sincerarmene ho ripescato nella biblioteca di un amico diplomatico un vecchio titolo (in francese) di Edgardo Sogno.

Quasi sconosciuto (“Le rôle de l’image dans la propagande totalitaire”) il piccolo libro è la trascrizione di una vecchia conferenza a Strasburgo su immagine e regimi. Riassumo Sogno: nella creazione delle ideologie prima viene la dottrina, l’idea portante; poi arriva la volgarizzazione dell’idea, in un sunto memorizzabile da tutti (ad es. il Manifesto Comunista); poi s’innestano gli slogan e infine, a culmine, arriva l’immagine simbolica: che per essere forte e colpire nel profondo dev’essere “strettamente e abitualmente associata all’idea o ai metodi che è chiamata a propagare”: la falce-e-martello, lo scudo-crociato DC, la V di vittoria degli Alleati. La creazione di una brand/simbolo utilizza meccanismi simili.

La forma della capsula e delle macchine del caffè proprietarie sono importanti a creare “appartenenza”. I tecnici potranno notare che il sistema di estrazione nelle capsule Nespresso-compatibili è diverso e manca di qualche astuzia. Nonostante (comunque) i 5 grammi di macinato di Nespresso siano pochi per accontentare i puristi dell’espresso tradizionale, in un test comparativo francese nessuno dei due cloni ha ottenuto risultati medi superiori a Nespresso (anche se la ECC ha distribuito grafici sensoriali che danno una lettura opposta).

Ma il primato sensoriale non è il cuore del problema. I cloni non sanno fornire lo stesso prodotto, che solo in parte è un’infusione di caffè. Se i consumatori intervistati non si sono detti impressionati lo si deve anche al fatto che queste capsule compatibili mancano della forma originale, diventata elemento architettonico delle boutiques, oggetto di desiderio nelle pubblicità e simbolo di status nella rivista Nespresso.

E’ stato un giornalista di The Guardian - sfogliando un solo numero della rivista “esclusiva” indirizzata ai membri del Club Nespresso – a contare 281 immagini della capsule. Erano sparse ovunque: a casa del proprietario della Chopard, sulla costa di Kerala, ovviamente insieme a Clooney, fotografate artisticamente, piazzate insieme a macchine e foto del Guggenheim di Bilbao e così via. Perchè il simbolo va ripetuto: “solo la ripetizione incessante e la continuità nell’affermazione possono cristallizzare l’opinione”, per dirla con Edgardo Sogno.

Così le capsule compatibili senza quella forma partono svantaggiate. E mancano anche del supporto di altri simboli Nespresso. Manca lo “sguardo che fissa le capre” (o che annulla le resistenze dei consumatori) e manca la sensazione di appartenere ad un’elite: le “compatibili” si trovano nei supermercati anche in periferia, ma le “originali” le vendono in una boutique così curata che quando entri ti sembra d’essere uno di quei poveretti di “Miracolo a Milano” che andavano ad applaudire i ricchi impellicciati fuori da La Scala. Manca alle copie – cioè - lo status costruito da un marketing virale che usa come ambasciatori della marca (e questo è il paradosso sublime) gli stessi clienti – coloro che fanno la fila per comprare le capsule e poi le pubblicizzano. Intuizione geniale anche se non originale: Karl Marx l’aveva anticipata (più o meno) nelle sue Grundrisse.

E’ questo uno dei segreti dietro al vero assestamento tellurico dell’estate 2010 nel mondo del caffè mondiale - un avvenimento che rende pan per focaccia alla famosa vicenda degli spot in paradiso, quando Lavazza si oppose a Nespresso. Parlo dell’allargamento del capitale di Green Mountain Coffee Roasters (GMCR, torrefattore quotato alla Nasdaq di New York) e la contemporanea sottoscrizione di questo capitale (7% del totale) da parte della Lavazza di Torino. Prezzo? 250 milioni di dollari, circa 200 milioni di Euro.

Una sorpresa. Da qualche mese giravano voci che volevano McDonalds e Coca-Cola interessate ad un’acquisizione di GMCR. Leggere che Lavazza, da terzo incomodo, ha sfilato questa perla americana a simili aziende ha stupito ed inorgoglito l’italica nazione del caffè.

La mossa è audace, se si pensa che le dimensioni delle due aziende sono simili, ma GMCR sta crescendo a ritmi forsennati (nell’anno fiscale 2009: vendite +61% e utili + 105%; e si prevede vendite +50% nel 2010) al contrario di Lavazza, relativamente stabile. In altre parole Lavazza ha investito la somma più importante della sua storia centenaria per una quota di minoranza in un’azienda che - con l’acquisizione di Van Houtte da parte di GMCR avvenuta poche settimane dopo il deal con Lavazza - dovrebbe ormai essere più grande di Lavazza ed è comunque un’azienda che Torino difficilmente potrà ambire a controllare - anche se sarebbe già nel radar un possibile aumento della partecipazione fino al 15% del capitale di GMCR.  Insomma: un cambiamento coraggioso rispetto al passato e certamente una strategia industriale del caffè made in Italy di ampio respiro.

La raison d’etre dell’accordo commerciale è chiara: GMCR - con la sua marca Keurig e le loro K-Cups che preparano un caffè antitetico all’espresso - è leader incontrastato del caffè porzionato negli USA, dove tutti gli altri sistemi messi insieme (mia stima spannometrica) non raggiungono il fatturato Keurig, che ha venduto due milioni e trecentomila macchinette solo nel 2009. Anche in questo caso la forma delle K-Cups (sorta di vasetti di yoghurt rimpiccioliti) è diventato uno status symbol: rappresenta il consumo tazza-per-tazza nella patria dei caffè da mezzo litro servito in bicchieri di polistirolo. Una K-cup è nella media quanto più vicino alla raffinatezza europea si possa immaginare - quantomeno a Wichita, Kansas, o Omaha, Nebraska.

L’accordo annunciato l’11 agosto permette a Lavazza di accedere alla distribuzione  GMCR e proporre così ai clienti Keurig un espresso o un cappuccino italiani, cosa attualmente impossibile sia a Keurig (la sua tecnologia proprietaria è a bassa pressione e Keurig avrebbe bisogno di anni per crearne un’altra per l’espresso, da zero) che a Lavazza (Lavazza necessiterebbe di capitali + tempi ingenti per arrivare negli sconfinati stati USA dov’è la distribuzione Keurig adesso è già capillare).

GMCR e Lavazza sono legati da un punto in comune: le loro strategie di sviluppo s’incentrano attorno ai “sistemi proprietari” di bevande a porzione singola, un mercato in crescita sostenuta che già oggi cattura il 7% in volume ma ben il 19% il valore dei mercati americano ed europeo del caffè, secondo uno studio Nielsen. Sistemi “proprietari” cioè non copiabili: lo ricorda bene Kraft, che incappò (con la propria Tassimo) in un paio di brevetti Keurig qualche anno fa e finì pagando 17 milioni di dollari per la licenza che chiuse la baruffa.  

E’ proprio la tecnologia il cuore “dinamico” dell’accordo GMCR/Lavazza visto che l’azienda torinese prevede di sviluppare macchine espresso con e per GMCR. Anzi, è certa che l’acquisizione del capitale “sia solo il primo passo di una più ampia collaborazione” che includerà tecnologia innovativa.

“Tecnologia innovativa”, un termine utilizzato spesso ma più raramente praticato. Nestlè ama ricordare quanto la tecnologia sia alla base dei loro eccelsi successi nel porzionato, protetti dagli ormai paradigmatici “1700 brevetti”, una “stato totalitario dell’arte” che nel caffè nessun’altra azienda può vantare (Apple peraltro in un prodotto lanciato solo quattro anni fa - l’iPhone - ha già depositato 2000 brevetti). E’ grazie anche a questo scudo stellare che Nespresso è cresciuta in ognuno degli ultimi tre anni di un fatturato equivalente a quasi mezza Lavazza (ca. 500 M FrSv).

In fondo Nespresso è la risposta industriale ai puristi: non è un espresso certificato e non è neppure un “vero espresso italiano” secondo molte definizioni - ma alla fine i numeri sono quelli. E poi, per il futuro, Nestlè ha Dolce Gusto, un altro sistema chiuso protetto da una fila di brevetti, che s’intesercano con i concetti Nespresso creando una buona barriera difensiva, in aggiunta all’arma offensiva di una marca colossale (Nescafè) che grazie a NDG sta mutando pelle – da solubile a caffè macinato.

Nestlè prevede che Dolce Gusto rapidamente diventerà una BB – una “Billion Brand”, una marca da un miliardo di franchetti svizzeri e pensa di vendere - entro il 2010 – quasi cinque milioni di macchinette con un modello di business classico (è distribuita nei supermercati) che propone ad un pubblico giovane ed in jeans (non stempiato o brizzolato) grazie alla gamma estesa di bevande (specialmente: caffè con latte). Anche in questo caso il caffè non è “certificato” ma, nuovamente, i numeri parlano da soli. NDG vuol dire macchine poco costose e di forme meno classiche, grande attenzione al dettaglio e schiacciante forza innovativa e distributiva. E il primus inter pares degli oligopsonisti del caffè globale – ad maiora – sta lanciando la Special T, un sistema chiuso per tè che modula i parametri d’infusione secondo la tipologia di prodotto, coprendo così anche il “lato femmineo” delle bevande caffeinate.

Forza: questa esprimono il circuito distributivo di GMCR o Nespresso, o gli “scudi stellari” di brevetti il cui solo mantenimento costa milioni di Euro all’anno. E “la creazione di un clima di forza” è proprio quanto Edgardo Sogno indica essere “il miglior mezzo per agire sugli avversari” nelle lotte titaniche fra ideologie contrapposte che descrive in quel suo breve libro. Non è forse questo quanto espresso dalla reazione ai “cloni di Clooney”? O dalla brevettazione a tappeto, come barriera contro la concorrenza?

Di questo si parla nei circoli del caffè più avanzati: nessun sistema per bevande “aperto” ha dimostrato il successo dei sistemi chiusi, che di fatto spadroneggiano nella classifica “Top 5” mondiale. Nespresso, Senseo, Keurig, Dolce Gusto e Tassimo sono sistemi che stanno convertendo la popolazione mondiale ad un consumo tazza-per-tazza: un cambiamento indiscutibilmente storico per l’industria del caffè globale che non accetta tentennamenti da parte degli attori coinvolti. Agl’incerti la geenna: per chi tituba diventa difficile anche solo mantenere le proprie quote di mercato.

Direte: ma Senseo oggi è un sistema “aperto”. Vero, eppure Sara Lee mai avrebbe lanciato Senseo senza la ragionevole certezza che il sistema fosse difeso da brevetti (risultati però deboli). Perchè cosa succede ad un sistema aperto lo vedete oggi visitando un’Ikea in Olanda: pods Senseo a 4 centesimi e rotti al pezzo – più o meno un quinto di quanto costavano al lancio. E chi offrirà di meno? Non i leader – i sistemi leader mondiali, a tutt’oggi, rimangono quelli (chiusi) che inseguono qualità, non il primo prezzo.

Da italiani, aumentano le soddisfazioni. Ora siamo azionisti e partner strategici del numero tre mondiale del porzionato – un passo più in là rispetto ad investire in aziende di capsule compatibili, che è quanto il fondo 21-Investimenti di Alessandro Benetton ha fatto con ECC. Il caffè porzionato e proprietario è la formula vincente a termine, anche se altre strategie selettive possono convivere, come sembra credere 21-Investimenti.

La sensazione è - comunque - che questi due esempi facciano quanto loro possibile per differenziarsi da modelli di business diffusi nel Bel Paese: aziende che sembrano convinte d’affrontare il futuro con cloni a basso costo e miscele strettamente 100% Vietnam. Che è l’equivalente della ricotta nella gastronomia: appaga e riempie.

Certo, chi s’accontenta gode - e fare ricotta industriale è un lavoro serio. Meglio comunque non far la fine dello “Stracci” protagonista di un film di Pier Paolo Pasolini, La ricotta. La trama è un film-nel-film: la ri-evocazione della crocifissione di Gesù girata a Cinecittà da un regista pseudo-intellettuale impersonato dal geniale Orson Welles. Stracci, l’attore Mario Cipriani, è un comparsa importante (fa il ladrone buono) ma le sue ambizioni non sono artistiche: Stracci ambisce giusto a magnà. E quando alla fine riesce a farlo, cheffà lo Stracci? Si strafoga di ricotta in un anfratto della brulla campagna borgatara.

In quest’ottica comprendiamo e condividiamo che - proprio a Roma - l’Istituto Nazionale dell’Espresso Italiano abbia organizzato in questi giorni un seminario sulla qualità nel mondo del caffè. Il titolo? “Corso di sopravvivenza caffeicola: tutto ciò che non dovreste mai vedere in un bar”.

 

(L'articolo è stato ri-editato in marzo 2018)