L'imminente lancio in Francia di due capsule compatibili con le macchine Nespresso è un tonfo per Nestlè e un trionfo del libero mercato? Certamente la vicenda ripropone due temi della "interrogazione a risposta scritta" rivolta al ministro dell'ambiente italiano il 9 febbraio scorso: il caffè dei sistemi "chiusi" a capsule impedirebbe al consumatore di cambiare agevolmente marca e renderebbe "insostenibile" e "inquinante" un rifiuto altrimenti facilmente smaltibile.
Il tono con cui la deputata radicale Elisabetta Zamparutti ha "interrogato" il ministro dell'ambiente Prestigiacomo ricorda la perentorietà utilizzata nella pagina web "Nespresso" della Wikipedia inglese (consultata il 13 marzo 2010): "l'impronta ecologica" di un caffè preparato con capsule è maggiore di quella di "ogni altro sistema", dice Wikipedia. Non solo: con macchine e capsule indissolubilmente legate, il modello Nespresso (cito traducendo) "è contrario a tutto quanto fatto per altri tipi di caffè" - sostanzialmente contro il libero mercato. C'è chi concorda.
Così non stupisce che qualcuno abbia voluto capitalizzare sulla "voglia di sostenibilità" del mercato. Curioso è che il primo ad annunciare di farlo sia proprio colui che aveva diretto Nespresso negli anni duri. Erano i tempi, raccontano, dell'apertura del Nespresso Club. E il primo giorno s'iscrissero tre clienti, quello dopo undici e il terzo giorno - zero. Oggi Nespresso è diventato un caso di marketing da imitare: come Amazon e iTunes, "le Club" riesce a profilare i clienti con una precisione impossibile alle catene distributive tradizionali ed è un meraviglioso trampolino di lancio per qualsiasi ulteriore sviluppo di Nestlè nel segmento del food-for-status.
Una ventina d'anni dopo quegli stentati inizi, tocca proprio all'ex-boss Nespresso Jean-Paul Gaillard competere con loro e proprio con un modello di business opposto: vendere ai supermercati capsule che sfruttino l'enorme parco di caffettiere Nespresso installate. Brevettate dalla società a cui fa capo Gaillard - la Ethical Coffee Co. (ECC) - queste capsule oltre a "liberalizzare finalmente" il mercato offriranno vantaggi. Sì: costeranno meno (beh: 20% in meno). E non solo: saranno "biodegradabili" dopo 60 giorni, qualsiasi cosa ciò significhi esattamente.
Il motto di Gaillard è "Io innovo, non copio" tant'è che - come dice lui - avrebbe trovato "la falla nel sistema di perforazione del fondo della capsula [Nespresso]". Dopo aver aggirato i "1500 brevetti" - altri dicono solo "1000" - su cui poggerebbe la tecnologia Nespresso, il brevetto ECC di aprile 2008 si pone addirittura l'obiettivo d'andare oltre e migliorare capsule esistenti "da numerosi decenni". Senza far nomi. Le capsule ECC/Casino sembrerebbero voler realizzare un sogno ricorrente di Gaillard, considerato che nel 2003 aveva già depositato un brevetto di una macchina a capsule simile a Nespresso. E il sogno? Gli indizi portano ad una risposta sin troppo ovvia: farla in barba a Nespresso. E migliorarla, pure.
Con un'esclusiva di 18 mesi, le capsule ECC verranno marchiate e distribuite dalla catena di supermercati Casino. Una scelta voluta, spiega Gaillard, "per la visione e le palle" del PDG e azionista di maggioranza di Casino, Jean-Charles Naouri ovvero l' "Einstein dei supermercati" d'Oltralpe. Non stupisce il richiamo agli attributi (le francesi "tripes") di Naouri visto che c'è chi ha messo in giro la voce che i primi clienti delle capsule Casino/ECC saranno gli avvocati del colosso di Vevey, attentissimi a difendere il patrimonio brevettuale Nestlè. Gaillard, dal canto suo, ha Casino dalla sua: con i suoi 26,7 miliardi di Euro di fatturato nel 2009 (e un EBITDA di 1849 milioni) è una bella spalla, dovessero mai baruffare quelli che Gaillard scherzosamente chiama Davide (sé stesso) e Golia (Nestlé).
In sintesi, a prima vista, quella ECC è la risposta giusta per ambiente e libero mercato. No?
Sulla "libera concorrenza" diamo la parola agli esperti. Ad esempio al presidente di uno dei colossi mondiali del settore agro-alimentare, la Archer-Daniels-Midland (ADM): industriale di parole schiette e generoso sponsor politico bi-partisan, Dwayne Andreas nel 1995 fece notare al suo intervistatore che "l'unico posto in cui si vede un libero mercato è nella bocca dei politici". Daltronde se il termine "concorrenza perfetta" fa pensare che sia questa la forma a cui tendono i mercati, l'osservazione empirica fa pensare piuttosto il contrario: la tendenza naturale delle aziende è il monopolio. E' questa la forma dove l'azienda (l'offerta) massimizza l'interesse dei soci fissando i prezzi. Altra cosa della concorrenza perfetta, dov'è il cliente (la domanda) a fissarlo.
Perciò cambiare un contratto da un operatore telefonico ad un altro è un'impresa, e i programmi che scarico gratuitamente da Internet si candidano subito come scelte di default. Si tende ad alzare gli switching costs, le barriere all'uscita ai clienti. Similmente, nel caffè, i torrefattori e i gestori delle "macchinette" utilizzano il comodato gratuito per creare un rapporto univoco, vuoi col barista o con l'ufficio. Anche Casino ha chiesto la capsula di Gaillard in esclusiva e la capsula di Gaillard è stata brevettata, impedendo ad altri (se i suoi brevetti terranno) di imitare quella soluzione tecnica.
Insomma: è normale difendersi. E' giusto che chi investe in ricerca & sviluppo rientri da quei costi senza che altri - copiandolo - possano vendere a minor prezzo. In più, le macchine dei sistemi chiusi (guardate anche le stampanti dei PC) sono spesso vendute a prezzi attraenti, che lasciano a chi le distribuisce margini risicati, insufficienti a pagare le spese di una comunicazione su scala nazionale (o internazionale): la macchina - insomma - è un investimento, anche per il torrefattore. Solo ingenti volumi di capsule creano il "grande affare": ma il loro presupposto sono appunto (e particolarmente per il mercato in-home - quello casalingo) elevati investimenti. Logico quindi che i "sistemi" siano protetti: sarebbe rischioso il contrario.
Per l'altro tema, quello della "sostenibilità", osserviamolo dall'alto. Tipo dal privilegiato punto di vista dal quale sto scrivendo: sorvolando, ad un'altitudine di 24.000 piedi, il lago di Neuchatel. Là sotto giace uno spigolo del nuovo quadrilatero dell'espresso "tipo export" definito da quattro paesini svizzeri: Avenches (produzione Nespresso), Orbe (centro ricerche Nestec), Friburgo e Paudex (sedi della ECC e di Nespresso): iscriveteci un cerchio (dal raggio modesto: ca. 25 chilometri) e potete racchiudervi - almeno sulla carta - più tecnologia e più inventori di capsule che in tutto il resto del mondo.
M'ero distratto. Intanto, in cabina, l'assistente di volo ha appena portato il vassoio con il pranzo e io, meticolosamente, conto le cose che poi getteranno via: vassoio e suo coperchio, tovaglietta, due cucchiaini, coltello e forchetta, due bicchieri, tovagliolo, due bustine (con dentro pepe e sale che pochi usano), un burrino, l'imballaggio del cioccolato, la bustina dello zucchero e il monodose di latte, l'imballaggio del kit di posate e infine la vaschetta e il coperchio del piatto preparato (un cibo indefinibile e comunque abbastanza-immangiabile: c'è chi non lo apre neppure - stile: non-usa-ma-getta). Se ho contato bene diciannove cose (venti se siete dei gourmet) pronte per la pattumiera.
Per parlare d'ambiente, vorrei dire, tralasciamo le retoriche buoniste. La tecnologia del 2010 è basata sul lusso, ovvero su soluzioni non sostenibili nel lungo termine: bastoncini per orecchie e pannolini e fazzolettini usa-e-getta, insalate lavate e tagliate e imballate, fragole e agnelli aereo-trasportati dalla Nuova Zelanda, mandarini e papaye freschi dall'Ecuador. Aggiungiamo il modello di economia insostenibile per antonomasia: gli automezzi privati o gli autobus pubblici (poco efficienti, spesso semi-vuoti) o i SUV che calcolano il consumo in litri per chilometro. Eccessivo?
Anche le lamette da barba consumano plastica e metallo, mentre i rasoi stile Barbiere di Siviglia invece no. E le cartucce delle stampanti sono un sistema chiuso che nessuno discute coi toni accesi del caffè in capsule: eppure ogni volta che finisce una cartuccia, in ufficio, sono (per un colore) 935 grammi - di carta, plastica e chissà cos'altro; usati per un mese o due e poi gettati via. E la mia stampante ne ha cinque di colori, tutti usa-e-getta: quasi 5 chili di fritto misto per l'ambiente, creati in Malesia, usati a Milano e tumulati non-so-bene-dove.
Sprechi grandemente utili al sistema economico. Ma sempre sprechi. Così lo sappiamo: il modello capitalistico dai consumi in crescita perenne sarà chiamato - in tempi storicamente brevi - a mutare in un modello di conservazione e selezione. Per adesso, però, non è così.
C'è però una cosa che giova al settore del caffè: restituire sacralità a quel particolare momento che è "bere un caffè". Una cosa che la capsula fa alla perfezione, innalzando una materia prima il cui consumo è stato banalizzato tra XIX e XX secolo anche se sarebbe dovuto restare quello che è: un lusso piacevole, un intenso rituale dei sensi.
Già. Il caffè è una materia prima che (se la sua filiera utilizzasse solo costi di lavorazione europei) potrebbe costare tre volte tanto. Le capsule ne fanno risparmiare parecchio. I miei amici olandesi lo dicono scherzando, osservando la tendenza dei consumi di caffè in Olanda. Mi dicono: "Da quando la Senseo ha imposto un consumo tazza-per-tazza con le sue cialde soffici, il principale consumatore olandese di caffè filtro ha ridotto di molto i suoi consumi". E chi sarebbe? direte voi: il lavandino. Già: col monodose non si gettano caraffe di caffè vecchio. Né, in Italia, un colpo di spugna raccoglie il caffè sparso attorno alla caffettiera.
Inoltre una macchina a capsule è più efficiente di un sistema tradizionale: con una "macchina automatica" da 800€ mi è capitato di gettare una decina di caffè prima di arrivare ad un prodotto più o meno costante - anche se non così intenso come in una capsula di ultima generazione. Perchè, se penso a queste (MaxEx di TuTTOespresso a marchio Kimbo, o Iper-Espresso di Illy), le capsule garantiscono anche un servizio aggiuntivo notevole: una tecnologia di estrazione superiore.
Chiediamoci infine cosa succederebbe se i milioni di macchinette a capsule installate (in Italia e nel mondo), cioè semplici scalda-acqua, venissero sostituiti da micro-centri di preparazione di bevande, zeppi di automatismi e quindi (per via di un'ineluttabile legge) soggetti a molte più possibilità teoriche ed effettive di guasto. Accadrebbe che i servizi di assistenza tecnica s'ingrosserebbero e con essi i trasporti connessi e le loro emissioni inquinanti. Così il costo di una tazzulella 'e caffè aumenterebbe, per pagare benzina, ricambi e manodopera.
Quindi: è facile lapidare le capsule vagheggiando formule magiche, il difficile è non trarre conclusioni affrettate. Anche monsieur Gaillard - in fondo - liberalizza il mercato Nespresso "a modo suo": con la propria azienda (non un'ONG), brevettando quanto possibile, affidando il neonato in esclusiva alla 2a catena distributiva di Francia e - infine - producendola con un imballaggio "biodegradabile in 60 giorni" (e personalmente non conosco materiali assolutamente: biodegradabili, sostenibili economicamente e conservanti).
Che la capsula costerà meno siamo convinti: perchè - come spiega lo stesso Gaillard - la ECC ha costruito un business dove 9000 punti vendita, a spese loro e da subito, venderanno un prodotto il cui lancio a Nespresso ha preso 25 anni (e alcuni momenti critici, in cui si discusse se l'azienda dovesse chiudere o meno).
Insomma un'idea gajarda e venduta bene. Al punto che il settimanale economico belga Trends-Tendances si è chiesto se la ECC non sia una mossa di Nestlè: una società creata in gran segreto per competere nella fascia bassa del mercato contro le soft pads Senseo della Douwe Egberts/Sara Lee - sistema chiuso che in Benelux e Francia copre la fascia di prezzo tra 16 centesimi e 39 centesimi. (Vuole il caso - la fascia di prezzo coperta anche da Dolce Gusto, la capsula che si fregia dell'altra Billion-Brand del caffé "Made in Nestlè": Nescafé.)
Il tono deciso di Gaillard non fa credere alla combine - se pur ci fosse i fatti ci obbligano a proseguire e mai staccare gli occhi dai frenetici movimenti di truppe in evoluzione proprio davanti alle posizioni mantenute per anni dall'esercito del "Louis Vuitton del caffè porzionato".
Già. Passato nemmeno un mese dall'annuncio di Gaillard, la mamma di Senseo - un gigante la cui divisione International Beverages ha fatturato 3 miliardi di US$ nel 2009 - ha preso tutti contro-ritmo: il 7 aprile entra lei per prima nella bagarre delle capsule compatibili Nespresso e facendolo utilizza il profilo più alto possibile. Cioè - entrando nell'arena - lo fa con uno dei marchi di fascia alta più venduti in Francia, "l'Or".
Il simbolo è forte: lanciando le capsule pochi giorni dopo il giorno di Pasqua sembra quasi voler vendere la sua Resurrezione dalla schiavitù (Nespresso), prima che - come dire?- faccia Casino. Inoltre l'attacco di Douwe Egberts è (come per le capsule ECC) teso a dare un volto "sostenibile" alle macchinette Nespresso, l'offerta essendo di quattro referenze dai nomi italici ma tutte marcate Utz (ex-Utz Kapeh), la certificazione che fornisce una serie di garanzie di sostenibilità economica ed ambientale del caffè utilizzato. Un concetto che Nespresso ha sino a poco tempo fa snobbato. Certamente l'entrata di DE/Sara Lee, uno degli oligopsonisti mondiali del caffè, ha un'altra rilevanza di quella di Gaillard.
Tutto sommato, la vera chicca di queste capsule "Nespresso-compatibili" è che esse non aspettano bensì anticipano la tanto attesa scadenza del 2012. Per coloro a cui la data non dice nulla, rammento che da tempo si parlava tra gli "esperti" del settore di un brevetto Nespresso che diventerà di pubblico dominio a fine 2011; così molte Cassandre avevano previsto per Nestlè (e Lavazza Blue - che dipende da un brevetto gemello, anch'esso in scadenza) nel 2012 conseguenze simili a quelle sofferte dal pianeta Terra nell'omonimo film: tsunami, catastrofi e distruzione. Ma la guerra è iniziata sulla base di altri temi tecnici, con (presumibilmente) altri risultati in tazza e certamente sulla base di altre considerazioni economiche.
Noi italiani per una volta non stiamo solamente a guardare: riporta infatti la stampa specializzata che tra gli investitori in ECC figurerebbe il fondo di Alessandro Benetton. Se così è, meno male! Il dettaglio ridà forze a quell'orgoglio patrio che Pascal Hottinger - il responsabile svizzero di Nespresso - aveva stilettato a sangue. Con nonchalanche, nel mezzo di un'intervista Hottinger forniva la prova del nove della loro bravura assicurando che l'allievo aveva superato il maestro: in Italia, la culla dell'espresso, "Nespresso vende oggi più macchine di Lavazza".
A noi, che inventammo l'espresso e non già la raclette, la cosa ha dato fastidio chè l'intervista rilasciava un sapore quasi da "sconfitta per cappotto" (anche se una cosa è primeggiare nelle vendite di macchine e un'altra in quella di capsule di caffè). Oggi, invece, il "cappotto" è lontano, la primavera è iniziata e con essa quello che sembra un lungo torneo. E San Pietro, che sappiamo appassionato di capsule, per chi tiferà?
(Pubblicato su Comunicaffè il 2 aprile 2010)