In perenne licenza poetica, le tre re-incarnazioni di Leonard Cohen.
Così, di colpo sono stato preso seriamente come un poeta, quando in realtà ero una sorta di stallone.
(LC, citato da MailOnLine, 12 novembre 2016)
Dammi crack e sesso anale / Prendi l’ultimo albero che resta
E ficcatelo su per il buco / Nella tua cultura
(The Future, 1992)
Come carpire l’essenza Leonard Cohen? O restare immoti davanti al suo fascinoso sguardo profondo? E non avvertire l’alterazione dello stato coscienza che creava quel tono di voce teso liricamente a sgranare i modi coi quali ‘il lato oscuro della nostra lunanera’ s’accoppia all’amore, alla vita.
Che per Leonard la reverenza sia d’obbligo basterebbe scorrere i ‘coccodrilli’ usciti nei giorni del lutto: “un saggio venerabile” “maestro dei significati” (NY Times), “il più fico zio ebreo che ho mai avuto” e “il più letterato e sensibile bardo del rock’n’roll degli ultimi 50 anni” (Don Was su Newsweek), “Cohen salverà il mio orgoglio nazionale” (Montreal Gazette), “uno degli artisti più influenti del nostro tempo” (La Repubblica), “leggendario”, “il più grande forgia-parole della canzone contemporanea” (Canadian Press).
Oppure - in anticipo sui tempi - “il monumento Cohen” (Radio Canada). O addirittura un affascinantissimo “poeta minore”, come lui volle definirsi?
L’effetto del primo (27 dicembre 1967) e successivi due LP CBS di Leonard Cohen fu di svegliare angeli (o demoni) che nessuna musica aveva ancora messo bene a fuoco, sino ad allora. Da un lato donne ed esperienze mai del tutto felici ma irresistibili, un femmineo che balzava fuori dai solchi (Marianne, Suzanne, Nancy...) e dalle immagini di capelli biondo cenere, sinuosi corpi, sorrisi abbronzati.
Canzoni e foto di questa Prima Incarnazione svelavano un Impero dei Sensi antico (la Grecia) filtrato dagli occhi di un quebecois anglofono, osservante ebreo Ashkenazim, sensibilità sopraffina. Dall’altro, non erano solo dischi: erano la certezza che in una piccola isola dell’Egeo, senza elettricità o acqua corrente e con due soldi, si potesse amare la vita e le belle donne... vivendo di parole e musica. La sensazione netta era che quella vita fosse un paradiso, ma non per tutti - per altri ci poteva essere il vuoto (la vera Nancy della canzone si chiude nella toilette col fucile del fratello e buuuum! no?)
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Arrivato in CBS Cohen chiede che Don Johnston gli produca il primo disco ma la CBS nisba e sceglie John Simon. Volendo seguire le memorie di Johnston, la storia del primo albo di Cohen fu che John Simon "mise tutte quelle stronzate che Leonard odiava, migliaia di piccole cose, fischietti e tutto l'andabaràn". Cosicché, finendo come voleva iniziasse, Cohen per il secondo disco chiama Don e questo gli dice "ma sì, vieni giù a Nashville". Lo diceva spesso. L'aveva appena detto-fatto con Dylan e prodotto "John Wesley Harding".
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Parlo di Don perché ha inventato in assoluto la migliore metafora sul Cohen strumentista: "La sua chitarra ha sempre suonato come una vedova nera. Nessuno ha mai suonato così. Mai nessuno" e bisogna fidarsi di uno che ha prodotto sei Johnny Cash, cinque Dylan, tre Cohen, e anche Jimmy Cliff, New Riders of Purple Sage, Loudon Wainwright III, Byrds, Moby Grape, Lindisfarne etc.
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Give me crack and anal sex/Take the only tree that's left
And stuff it up the hole/In your culture
Give me back the Berlin wall/Give me Stalin and St. Paul
I've seen the future, brother/It is murder
("The Future"- 1992 - LC)
Pubblicato su Blow Up, numero di Gennaio 2017