Luca D. Majer
Musica  ed altro  
 

 

Al numero 4 della classifica delle 10 canzoni preferite svetta The Backyard, capitolo finale dell'opera (americana)  "Perfect Lives"  - colpo compositivo geniale di Blue Gene Tyranny, Robert Sheff. Qui commentato in due stesure successive.

Le mani di Blue Gene, la testa di Ashley

 

 

10 BTExM (Best Tunes Ever x Me) 

#4 THE BACKYARD (Blue Gene Tyranny - from Robert Ashley’s Perfect Lives)
 
(parte 1)
 
 
Vale la pena ritornare sull’affaire “Perfect Lives” e il fatto che la splendida versione live (1991) ripresa dal DVD di questa sedicente “prima opera americana” ritragga “Blue” Gene Tyranny nell’atto di comporre una delle più deliziose performance di piano solo della storia dello strumento. Eseguendo, è questo il centro del discorso, musica propria e non composta da chi peraltro firma l’opera senza omaggi all’autore del giusto riconoscimento.
 
Ashley, grande raconteur al pari di Cage, ha scritto un libro di 200 pagg. che vale assolutamente la pena procurarsi ed è libretto e parimenti ‘spiega’ del concetto dietro all’opera. Esposta con stream of consciousness spassionato, per quel che c’interessa ora, nel libro si parla della genesi dell’idea (frasi cantate, appunti di aneddoti di gente incontrata per caso), sulla struttura dell’opera e sulla sua relazione con le altre due opere scritte in quel periodo (“Atalanta” e “Now Eleanor’s Idea”, a sua volta quattro opere in una.)
 
“Perfect Lives” è basata su un testo che racconta frammenti di aneddoti, incastonata com’è concettualmente e temporalmente tra quelle sue due altre opere, la prima basata su veri propri aneddoti, e l’ultima invece su frammenti di aneddoti dispersi, ovvero su parole sparse.
 
Per questo nostro fatidico settimo e ultimo episodio, The Backyard (t’ be continued), la trama nel comunicato stampa era stata presto raccontata: “alcuni amici e parenti si ritrovano, come loro uso, a fare un picnic per celebrare il cambio della luce [il solstizio d’estate] al tramonto. E guardando dall’entrata di casa di sua madre, Isolde conta i giorni.”
 
Molto del libro si lascia andare ad una spiegazione non tecnica sempre sull’orlo del flusso di coscienza. Ed è bello perché le parole ti avvolgono e incominci a perdere la trebisonda:
 
“Perfect Lives è giusto il Mid-West e nessuna storia ha un inizio e una fine. Sono tutte digressioni. Per i musicisti è molto difficile. E’ un’idea differente dall’avere una forma specifica. (…) Nessuna storia inizia, è tutta una digressione: digressioni sono quelle che fa “Blue” Gene, digressioni sono quelle che tutti fanno, in ogni momento. Il trucco di eseguire questo pezzo in pubblico è che letteralmente non sappiamo mai cosa andremo a fare finché non si sente la prima nota.” 
 
Ma metrica e numerologia sembrano essere ossessioni sottostanti. Mai troppo spiegate (il testo del pezzo ne fa cenno molto ellittico), resta che le 7 parti dell’opera s’incastrano una con l’altra seguendo un concetto unificante, una sovrastante gerarchia nello spazio sonoro, una metrica comune che si presenta uguale (e inavvertita) per l’intero ciclo di tre opere (o sei: 2 + 1 quadrupla.) 
 
Al concetto arrivò -dice- partendo dal chiedersi quale sarebbe stata la la più piccola unità di tempo dell’immagine video così da usarla quale suddivisione del tempo anche musicale.
 
Ogni cosa in tutta l’opera è a 72 bpm. Il 72 fu scelto perché consentiva calcoli molto semplici nelle relazioni tra pellicola, video e musica. Quei 72 bpm vanno avanti per tutte le tre opere (…) Ovviamente la difficoltà sta nell’evitare che questi 72 bpm impattino sui tuoi nervi.“ 
 
Questo “template” ritmico, anche tralasciando il suo rapporto con le altri parti, non è faccenda semplice:
 
Il 7° episodio ritorna a combinare simmetria e asimmetria (…) metà dei 72 bpm son usati in gruppi di tre - in altre parole, una terzina a 48 bpm - e quella terzina è usata in entrambe le linee da 5 e 6 quarti.
 
E comprendendo che le parole sono quantomeno traditrici aggiunge
 
E’ molto più facile fare un disegno della spiegazione di questo piano o dimostrarlo musicalmente.
 
Queste 72 battute per minuto arrivarono solo dopo “un periodo di 6 settimane in cui “Blue” ed io avevamo lavorato ogni santo giorno” per risolvere il problema di avere “tempi simbolici” ovvero metriche differenti secondo ogni personaggio. “Decisi di avere tutto a 72 bpm. Quello divenne ‘il piano’ per le improvvisazioni di “Blue” Gene.” 
 
Si capisce quindi che “l’opera” è composta da un libretto delizioso (in uno stato di percezione alterato: a cavallo tra il mondo “reale” della banca, dello sceriffo, del supermarket e quello mentale dei suoi personaggi - appunto, flussi di coscienza) e, per la musica, da un template: una “gabbia ritmica” nella quale inserire “qualcosa”, leggasi una armonia e una melodia qualsiasi purché inizi e finisca quando lo dico io. In piena scuola cageiana, l’autore si appropriava di un pezzo in più dell’anima dell’esecutore: non soltanto l’abilità strumentale ma anche la capacità ad inventarsi musica.
 
Economicamente, il leader della catena del valore (in pratica il compositore che riceve i fondi e pubblica il disco) attrae su di sé, in forza del suo potere contrattuale, una parte del valore aggiunto prodotto a monte.  

 

(parte 2)

Devo delle scuse a Blue Gene Tyranny, il geniale pianista e compositore di musica contemporanea cresciuto all’ombra dell’etichetta Lovely Music, recentemente deceduto.
 
Lo faccio ora perché The Backyard nella versione del triplo CD o DVD del 1991 [che trovate ancora in catalogo (lovely.com) e che se non avete non può ASSOLUTAMENTE mancare nella vostra discoteca] merita un posto nel personale Gotha di pezzi preferiti, essendo tra i pezzi musicali più celestiali che conosca.
 
24’45” di coito aurale (in particolare: piano acustico improvvisato diatonicamente + voce recitata). Le mie scuse vertono su questo pezzo -che si chiama per intero: The Backyard (T’Be Continued)-  che conclude “Perfect Lives”, la prima opera americana contemporanea a fondere l’inanità dell’Americana alla musica d’avanguardia, Liberace al fantasma della tecnologia e alla metempsicosi dell’impiegato bancario.
 
In un breve scambio che ebbi con Blue Gene, era il marzo del 2018, io tentai di convincerlo a intervistarlo per BlowUp mentre lui tentava di spiegarmi che era parecchio infermo e faceva già fatica fatica a concludere il libro autobiografico sul quale armeggiava da tempo, quindi mi mandò alcune piccole note, ora assai preziose.
 
Sull’autore ufficiale del pezzo, Robert Ashley, ricordo che andai a trovarlo nell’appartamento che aveva nella Lower West Side, non lontano da West Broadway… direi 2008 o 2009. Ricordo che non stava troppo bene ma era in-forma-mentale. Parlammo anche di The Backyard e di "Blue Gene," di quant’è bravo. E mi diede uno dei cartoncini che, disse, distribuiva ai musicisti, con scritti gli accordi da eseguire sopra le parole del testo recitato. 
 
Figuratevi quindi la sorpresa, quando - nel successivo scambio epistolare con Blue Gene, che sul sito Lovely per questo CD ancora oggi figura quale "Music Collaborator, Keyboards" - questi mi scrive una cosa un po’ diversa:
 
Scrivendo di “Perfect Lives” spero che tu abbia chiarito ai lettori che Robert scrisse le parole e io scrissi tutta la musica abbinata al testo, cosa che mi aveva chiesto di fare. Ciò vuol dire che io ho scritto tutti gli accordi e creato lunghe frasi e cicli che hanno dato l’ “atmosfera” alle parole.
 
C’è un DJ di NY che non riusciva davvero a comprendere che un compositore lasciasse la scrittura musicale effettiva a qualcun altro, ma l’idea di testo che Robert ebbe creò da sola il pezzo e io ho semplicemente riempito con la musica necessaria, che eseguita altre volte poteva poi diventare completamente differente da quella che avevo scritto io. Ogni opera di Robert così differisce dall’altra.
 
Per un’opera, Robert scrisse ancora il testo poi mi disse giusto di fare suoni al piano. Nessuna melodia. Nessuna armonia particolare, o ritmo. Solo suoni. E feci così. Dovetti tornare indietro, ripensare a quando imparavo a suonare il piano, e quindi creare quei suoni. Altre opere funzionavano diversamente.
 
Questo certo DJ di New York non era uso a nuove idee e non poteva concepire che io scrivessi la musica e Robert scrivesse le parole, anche se era [tutta] la sua opera. Scrivere la musica fu il mio modo di creare, per così dire, una coreografia che fissasse lo scenario sul palco per i protagonisti.
 
E’ stato riprodotto da molti altri musicisti, in molti hanno scritto la propria musica, a volte basandosi sulla mia per certe ambientazioni, come ad esempio nella traduzione spagnola, che ha usato la mia musica ma con un gusto latino. Un’altra versione l’ha fatta un ensemble di piccoli strumenti: musica propria, da suonarsi in vari luoghi [legati alla trama], ad es. in una chiesa, fuori dalla banca, ecc.
 
Insomma, si continuerà ad avere nuove rappresentazioni e altra musica che useranno quel testo invariabile con musica variabile.”
 
(...)
 
 
In The Backyard queste melodie e giochi d’incastro armonici, che ricordano le piroette di una trapezista nell’aria, giungono alla massima maturazione e il collage degli ultimi minuti improvvisati in solo, senza voce, produsse musica melanconica di dolcezza infinita, ben oltre -ad es.- i territori più benedetti dei “Sun-Bear Concerts” di Jarrett. E tutto ciò a valle di ore di torrenti di parole recitata da Ashley, la più grande voce recitante, ever
 
Mi scuso quindi per non avere accreditato correttamente in precedenti scritti il vero autore di quelle melodie e di quegli accordi da estasi sonora. E’ lui: Robert Sheff, a.k.a. Blue Gene Tyranny.
 
RIP.
 
 
Pubblicato su Blow Up, settembre 2021.