Articolo in memoria di Raffaella Carrà aka "la Raffa" per riconoscerle un posto chiave nella costruzione dell'immaginario italiano tra anni '70 e '90.
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Imperfezione e volontà
Il secondo pilastro dell’ amata Raffa è l’imperfezione. Che la senti chiara nelle trasmissioni spagnole, dove si prende in giro mentre prende in giro l’idioma altrui sbagliando parole, inventandole e ridendoci sopra.
Questa candida riproposizione dell’idolo televisivo come persona veramente della porta accanto, con tutti i suoi difetti, fa il paio con quell’intraprendenza inaudita, quell’esser volitiva che si diceva, con una forza interna che catapulta costantemente Raffa nel mondo del divenire.
Ben venga comunque che la Raffa quando canta non sia sempre perfetta con l’intonazione. E quella percettibile raucedine in certi suoi armonici. Il duello fra Loretta Goggi e la Raffa in quel senso era insensato. Loretta con un’intelligenza musicale top che la portava a riuscire a eseguire qualsiasi voce con capacità estrema senza perciò avere un’identità propria.
Lei, Raffa, con una voce che a volte si strozzava esile, rincorreva l’intonazione ma era riconoscibilissima e umana. Inoltre, seppure talora traballante, era una voce esposta con una professionalità talmente volitiva da lasciar convinti per passione. Un’espressione di energia vitale.
Sentitela nelle conferenze stampa a 70 anni passati, quant’è lucida, sveglia, determinata e rivolta al futuro. Impressionante. E sin dagli inizi parla sempre di progetti, in questo donna quintessenziale, e guarda avanti, raramente indietro, raramente pettegola (quando lo fa, lo fa brevemente e con precisione da grande chirurgo che sa dove tagliare - è pur sempre una primadonna).
I balletti sono forse la zona dove l’imperfezione è praticamente sempre in agguato. Assieme a Ether Parisi la vedi che veramente quell’altra è fatta per la danza e lei no. Eppure una Carrà perfetta, che non perda il fiato o si mostri per attimi insicura, tenuta in braccio dai suoi boys, non sarebbe la stessa cosa. Salvo poi, una volta che le si strappa una spallina del reggiseno, riuscire a ricucirlo in scena, in quella che forse era una prima stunt da pseudo scandalo, oppure professionalità spietata.
Forza di volontà e imperfezione: i due ingredienti che, mischiati in giusta combinazione, hanno portato la Carrà ad essere un’ancora culturale per un segmento assolutamente centrico dell’Italia (e della Spagna! almeno altrettanto!) tra 1970 e 2000. Un contenitore ideologico.
La Romana
Sorrentino usa la Raffa di A far l’amore comincia tu per aprire ”La Grande Bellezza” facendola rimixare da Bob Sinclair, aggiungendovi quest’ultimo un polso crudo e la grancassa techno e le stelle filanti con-portamento dei synt anni ‘90.
La melodia -di per sé- è tagliata come un tronco con l’accetta: naviga territori vicini alla filastrocca per bambini: eppure è un hook tremendo, che ti si fionda in testa per starci delle ore. E le liriche svolazzano leggere parlando d’amore (forse, boh : “E se si attacca col sentimento/Portalo in fondo ad un cielo blu/Le sue paure di quel momento/Le fai scoppiare soltanto tu”), di sesso esplicito o quasi (“scoppia, scoppia mi sco…“, di libertà sessuale conquistata.
La scena ci rammenta che per decenni la Carrà ha rappresentato il potere romano. Ben prima che vi fossero emittenti del nord che diffondevano l’accento dei dané… la TV era monopolizzata da accenti romani: perché la RAI stava a Roma. La Raffa fu una di quegli artisti che scesero “al Sud” e… a patti coi partiti della RAI. A Roma rimasero. Come Raffa - che per alcuni anni caldi ebbe in mano tutto il popolo italiano.
Animata da una corrente elettrica continua, un’attitudine da prima della classe (anni dopo, durante le riprese del “Colonnello Ryan”, invece di andarsi a sbronzare e imbiancarsi il naso, come faceva Sinatra la sera, lei si ripassava le parti.)
Tenta la poliedricità poli-artistica di Broadway: cantante, ballerina, attrice. Ma furono le trasmissioni televisive (60+ in Italia, 17 all’estero) da presentatrice che cementarono la sua immagine di donna: come tutte le altre, empatica, vispa e nazionale.
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Il trasgressivo della Raffa lo trovi espresso con chiarezza in queste lunghe trasmissioni spagnole. Culturisti che si mettono in mostra, donne che si scaraventano sulla patta del cameraman e quasi gli tirano fuori il pisello, befane che si mettono a sbaciucchiare il divo che scappa, a #metoo-izzare il povero belloccio di turno.
Trasgressione nazional-pop e post-moderna frammista a ricette di cucina, storie davvero strappalacrime, inframmezzate a "la scienza e la tecnica" (costanti: a partire dai costumi spaziali in stile Barbarella) in un tentativo riuscito di codificare la trasgressione e renderla un’etichetta, uno stile talora subliminale.
In breve corroborare una tendenza pluridecennale verso il progressivo allentamento dei costumi, il debauchée odierno del twerking, del roteare il culo per aria neroamericano per la strada appoggiandosi, a bloccarlo pieno di ragazzi, contro lo School Bus.
Ecco, la Raffa queste cose non le avrebbe mai fatte. MA fu fondamentale per convincere le casalinghe italiane (un po’ restie) e assai di più quelle spagnole (scatenate in un femminismo libertino che le porterà ad una riscossa post Franchista e molto democracia, fatta da weekend a Cuba in cerca di gigolò ventenni.)
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