Su Cage "il furbacchione"...
In realtà Cage ha aperto ad una famiglia di stili/timbri musicali, tra musica aleatoria, piani preparati, musica concettuale, percussioni, voce bisbigliata e... i fondanti pilastri concettuali della Ambient music di Brian Eno.
CONTRABANDA
Silenzio
In un recente Contrabanda parlavo di Caetano Veloso e dei suoi silenzi, aggiungendo di quel “furbacchione” di John Cage. Quel sostantivo merita una spiegazione.
Ricorderete 4’33” di Cage, dove l’esecutore si siede davanti al piano, scopre i tasti dalla protezione, fa scattare il cronometro e, fino alla fine del tempo previsto dalla ‘partitura’, sta davanti alla tastiera a fare niente. Si gridò al colpo di genio. Io (anche) penso che fu quello il giorno in cui inventarono Spotify e il capitalismo delle piattaforme musicali.
Temo di dovermi spiegare. Partendo da Gary Gereffi, professore di economia alla Duke, che ha spinto l’analisi della “catena del valore” (value chain) in un contesto globale e totalmente interrelato, come è l’attuale, definendo la “global value chain” come la somma dei valori aggiunti inseriti da ciascuno degli attori economici coinvolti nella produzione, nella creazione del prezzo finale di un certo bene.
Non è qui il caso di dilungarsi. Basti dire che, vista così, l’economia viene retrocessa ad un mondo Herzog-iano di caos e violenza, ad una lotta darwiniana di sopravvivenza dove vince chi ha capitale e massa critica. Quello che si vede così guardando è che alcuni anelli della c.d. “filiera” guadagnano il 90% del tutto, in pratica.
Gereffi osservò ad es. alcune poco lusinghiere somiglianze tra il mercato del caffè e della cocaina. Ovvero che entrambi concentravano il valore nelle fasi di trasformazione, che richiedono investimenti in capitale ed organizzazione, e nella fase di vendita, che per il caffè richiede investimenti pubblicitari importanti ma, nel caso della cocaina, i cospicui rischi venivano trasferiti agli spacciatori: a valle della catena, senza alcuna rilevanza strategica.
Detto in altro modo, se una marca ha creato un rapporto pluriennale con la propria clientela, grazie a forte spese pubblicitarie, l’aspetto produttivo e materiale tende a perdere importanza rispetto all’aspetto immateriale.
In certi casi invece gli attori chiave (Chain leaders) possono limitare l’accesso al consumatore, ad esempio con accordi esclusivi di distribuzione oppure perché semplicemente sono i più grandi del loro settore e mangiano tutti i piccoli con strategie omicide di prezzi bassi, tipo Lidl. Insomma, dialogare con il volatile consumatore odierno e mantenerlo soddisfatto è difficile, costoso e perciò ha un valore economico molto importante. In pratica la globalizzazione ha aumentato la concentrazione. Grazie alla Tecnica.
Mutando nella musica, ogni artista crea una propria brand, chi con artigianalità, chi con scienza. Ma nel mercato musicale poche sono le Billion brands mentre milioni le mini-brands. E queste rimangono tali nella misura che non si sa come trovarle: mica conosci i nomi di quelle che potrebbero piacerti!
In aiuto a questo era giunta Shazam, quell’invenzione mirabolante (e un po’ stupida: legge bit per bit un brano, ma non lo capisce.) Ma presupponeva che qualche “expert” (in genere un DJ) scegliesse della musica che poi io ascoltavo: così da capire con Shazam, al bar o al supermarket, di chi fosse quel brano.
Enter i big data dei sistemi di streaming: da quel momento "l’esperto DJ" diventa l’algoritmo della macchina. Che quindi, se funziona per deduzione dalle tue e nostre scelte, arriverà (attraverso una sorta di democrazia digitale) a trovare altri che scegliendo la tua musica ne hanno scelta dell’altra e così via in un gioco di approssimazioni successive che creano traffico alla piattaforma e un certo valore aggiunto, con i suoi difetti ed in primis la passività, all’utilizzatore.
Che in questi riflessi di specchi è cliente ma -soprattutto!- lavoratore non remunerato della piattaforma, la quale senza il suo input avrebbe utilità ridotta. Senza scordare che le piattaforme fanno marketing, ulteriormente concentrando il controllo delle nostre scelte.
Con 4’33” John Cage imponeva al pianista una violenza inaudita. Era la violenza finale nei confronti dell'intera classe sindacale dei membri d’orchestra e musicisti. Un ordine a sottomettersi, ad annullare ogni virtuosismo. Niente Paganini. Anzi, niente del tutto. Di colpo, migliaia di anni di musica venivano azzerati.
Come oggi si tende a definire una donna come “individuo che mestrua” o “che allatta” (e tutto il resto è una grande nebulosa di genders che mai avremmo immaginato o immaginari) così 4’33” estese la qualità di "musicista" ben oltre il tenace approfondimento tecnico sullo strumento, precedente criterio di distinzione.
Il pezzo ben suonato, o anche solo strutturato, diventava una casellina di tanti altri stili: era consentito a chiunque di approdare alla musica registrata e la fiducia di poter farsi un nome. Chiaramente POSTO CHE venisse messo per così dire “in prima serata”, sotto il naso e promosso. Per questo il capitalismo delle piattaforme ha ricevuto un bell’aiuto da Cage, il Jackson Pollock della musica moderna.
In teoria contro il mondo dei conservatòri, Cage si adoperò per rinverdire la tradizione classista della musica ‘classica’ spingendo il mondo ad utilizzare musicologi per definir la musica o meno. Da lì in poi un ente estraneo (il museo, il teatro, l’esperto… ora l’algoritmo della piattaforma) si mise a definire cosa fosse un silenzio. Altra cosa di Caetano.
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