Articolo "in memoriam" di uno dei più grandi musicisti italiani del XX secolo (e XXI.)
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Due gli elementi per cui la musica di Battiato è entrata sotto la pelle di molte persone.
Il primo deriva dall’intraprendenza del suo carattere, dalla volontà resa potenza, da questa voglia di fare che lo porta a studiare abbastanza da poter cavalcare stili dallo yè-yè allo psichedelico all’avanguardia moderna alla musica da camera (usata à la Berio/Cathy Berberian) e al pop-rock.
In altre parole un carattere volitivo (e una madre fiduciosa) che lo porta a studiare musica (prima pianoforte, poi chitarra), poi a contornarsi di pregiati musicisti che ondeggiano tra “compagni di cordata” di una vita verso cime più elevate (come Juri Camisasca) e momentanei compagni con cui scambiare vibrazioni registrandone i suoni (Antony).
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Curiosamente (rispetto alla parabola successiva) quando Franco ottiene un VCS3 sei mesi prima che uscisse sul mercato è su quello che crescono "Fetus" e "Pollution" - su una gimmick tecnica che lo mette a paro con gente come Tangerine Dream, sprofondato nella ricerca della chimica dei nuovi suoni, con le parole che vanno a provocare la Tecnica cantando formule scientifiche.
Battiato resta uno dei grandi innovatori musicali italiani durante tutti i Settanta. La parentesi psichedelica lascia però spazio ad una fase ancora più straordinariamente feconda, sui quali i successivi quarant'anni si fonderanno.
Inizia con cinque albi [tra “Clic” (1974) e “Juke Box” (1978)] via "M.lle Le Gladiator” (1975) e “L'Egitto prima delle acque” (1978). Per poi scoccare il paradossale trittico di LP "Cinghiale Bianco” (’79), "Patriots" (’80 - il primo grande successo) e “La voce del padrone” (1981): una fenomenale dimostrazione creativa e di coordinamento di uomini (Giusto Pio!) con idee, proprio a coincidere con l’inizio delle Reaganomics e del denaro facile degli Ottanta.
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Successivamente mi è impossibile essere oggettivo con Franco, ma non si può dimenticare che con i suoi “Fleurs” (gli ineludibili “fiori del bene” battiatiani) ha rivisitato canzoni italo-francesi (e oltre) dando loro una dignità nuova, da piccola gente o grande personaggio, secondo i temi, ma operando un lifting di quelle melodie e ri-arrangiamenti geniali che ormai sono dei nuovi riferimenti. (Sitting on the dock of the bay ! Recuperate pure La mer di Charles Trenet, cantata da Sgalambro! E quando Franco canta "i vecchi amanti" di Brel)
Da lì Battiato ha infilato una serie di dischi che ci hanno riportato ai canti religiosi coi quali aveva iniziato la sua vita musicale, concludendo -se vogliamo- il suo circolo ‘magico’ musicale con musica che sarebbe piaciuta a Gurdijeff.
Se ci pensate bene, Battiato ha avuto la vita che Miles Davis avrebbe avuto se fosse nato bianco, con un nasone, all’ombra dei confessionali cattolici e… siculo. Ovvero al centro non già della civiltà del consumo, nella West Side a NY con un Ferrari giallo, ma bensì tratto fortemente dal centro di quella gravità permanente, dalla cultura antica che evapora sul Mediterraneo dai tempi della Sicilia di Pitagora.
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